sabato, Dicembre 14, 2024

The Return di Green Zeng – Venezia 72, Settimana Internazionale della Critica

Wen è un detenuto politico che viene rilasciato dopo molti anni di prigionia. Arrestato come presunto comunista, torna a casa, ormai anziano, ma fatica a ritrovare un rapporto con i figli. Camminando per la città, Wen vede la sua patria trasformata in una metropoli scintillante: ormai ha l’animo in pace circa la sua lunga detenzione senza processo, ed è pronto ad andare avanti. Ma passato e presente si scontreranno, e circostanze impreviste faranno prendere al suo viaggio una piega tragica.

La ricerca artistica rivolta alla storiografia in cui si è cimentato Green Zeng in questo suo primo lungometraggio, oscilla tra il naturalistico e l’onirico, registri che si mettono al servizio della temporalità, in continuo scontro fra passato e presente.
Veniamo dunque catapultati dalla mente di Wen al di fuori, verso la sua personale proiezione della realtà.
Nonostante l’approccio oscillatorio di Zeng, che in questo caso può rivelarsi interessante al fine di esprimere la dualità e la spaccatura temporale nella quale Wen si ritrova a vivere, non riusciamo a percepire la direzione verso il quale dirigerci.
Mentalmente seguiamo Wen nelle sue vicende personali negli spazi ampi e nei tempi dilatati, fattori questi che solitamente vanno a favore di una maggiore immersione nella storia e nei personaggi.
Qui, però, non c’è questa compenetrazione, ne rimaniamo distanziati come, d’altronde, non si verifica ciò che Green Zeng si era proposto: ribaltare l’idea lineare del tempo. Non bastano gli innesti onirici e surreali, che qui si limitano ad essere orpelli, poiché nel congiungere passato e presente sullo stesso piano, tradisce quella volontà di ribaltamento temporale della storia.
Anche la ricerca dell’identità nazionale di cui il regista si carica, è un grosso peso che non riesce del tutto a sostenere, affidandola quasi esclusivamente alle sequenze oniriche, mentre risulta avere frutto in quei momenti di dialogo e interazione con i due figli ormai cresciuti: nel momento in cui Wen osserva assieme alla figlia la vicina Malesia, divisa da Singapore da un breve tratto di mare, oppure quando con il figlio compie una passeggiata in città per ripercorrere e segnare tutte le tracce rimaste dei monumenti del passato. Piccoli frammenti nei quali avviene il passaggio del testimone da Wen ai figli che però è spezzato dagli eventi, e che salvano dal precipizio il film di Green Zeng, nel quale sono gli antichi monumenti e alberi a farsi veramente carico della memoria. Un punto di vista che può far tornare alla mente il bellissimo “Les statues meurent aussi“, con la grossa differenza che nell’opera di Resnais l’universo concentrazionario della memoria è accumulo, mentre nella prova decisamente più piccola di Zeng c’è un senso di fatale perdita, che avviene con l’avanzare frenetico e minaccioso dei cantieri, delle gru e dei grattacieli a Singapore.

Rachele Pollastrini
Rachele Pollastrini
Rachele Pollastrini è curatrice della sezione corti per il Lucca Film Festival. Scrive di Cinema e Musica

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