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These Final Hours – 12 ore alla fine di Zak Hilditch: la recensione

These Final Hours di Zak Hilditch non è il solito film apocalittico, adrenalinico e terrorizzante. Ciò su cui la narrazione si concentra è invece la semplice storia di un’intima relazione che persiste tra le rovine della civiltà e un mondo condannato alle sue ultime ore di vita.

Ma sono anche le ultime ore di chi aspetta consapevole la morte, poco prima del fatale impatto di un meteorite. Cosa faremmo se sapessimo che il mondo sta per finire? Hilditch prova a rispondere a questo complesso quesito, mostrandoci un progressivo percorso di crescita e presa di coscienza di un uomo paradossalmente afflitto da dubbi morali in un mondo alla deriva, in cui regna l’anarchia più assoluta.

Persiste ancora un briciolo di umanità nel contesto apocalittico del film, e l’attenzione si focalizza sui protagonisti che decidono di unirsi per sostenersi a vicenda prima del fatidico evento.

James salva una ragazzina di nome Rose dalle grinfie di due pedofili e sente crescere in lui un inatteso senso di responsabilità. Trascinato dagli eventi e da un amore paterno, si metterà in cerca del padre della piccola, al fine di riunirli nel momento dell’impatto. La febbrile ricerca porterà James a chiedersi cosa sia veramente importante nella vita.

La missione di James combacerà con un intimo viaggio interiore, alla ricerca di valori dimenticati che proprio la catastrofe lascerà riaffiorare. Su uno sfondo inquietante si staglia quindi la flebile ma tenace ombra di un’umanità, che porterà il protagonista ad un ricongiungimento con gli affetti, la riscoperta dell’incondizionato amore materno e la scelta della donna giusta con cui trascorrere gli ultimi minuti di vita.

Una rivelazione e la stabilità affettiva raggiunta nell’attimo estremo dell’esistenza, che non decade in un finale beffardo ma arriva ad un appagamento e accettazione tale da percepire tra le fiamme crudeli che avanzano il senso di una bellezza sublime. La vita e la morte combaciano e si annullano in un bianco neutrale ed eterno.

Il terzo film dell’australiano Zak Hilditch è girato tra le strade di Perth illuminate dalla luce solare, quasi il rovescio, per scenario e scelte cromatiche, dal The Road del connazionale John Hillcoat e vicino a quel senso della fine che opera un movimento disgregante dentro il nucleo famigliare nel “Take Shelter” di Jeff Nichols, anche se la città australiana filmata di Hilditch fa pensare forse alla Toronto di Don McKellar, che nel 1998 girava un film come “Last Night”, dove la psicosi collettiva che esplode sullo sfondo urbano è la stessa di “These final hours”, ovvero ricavata da un’osservazione spietata del quotidiano che non cede per un attimo alla scorciatoia espressionista e pulp che, per esempio, caratterizza il secondo episodio della serie “The Purge”, merito anche della fotografia di  Bonnie Elliott, che riesce a distillare un senso profondo di orrore dalla persistenza tagliente della luce.

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Andrea Schiavone, appassionato di cinema ha deciso di intraprendere studi universitari in ambito cinematografico. Laureatosi in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza di Roma ed attualmente studente magistrale in Cinema, Televisione e New Media alla IULM di Milano.
these-final-hours-12-ore-alla-fine-di-zak-hilditch-la-recensioneIl film dell'australiano Zak Hilditch sulle ultime 12 ore dell'umanità, la recensione in anteprima
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