giovedì, Marzo 28, 2024

Ana, mon amour di Călin Peter Netzer – Berlinale 67, concorso: la recensione

A quattro anni dalla vittoria con Il caso Kerens , Netzer lancia nuovamente in concorso il suo cinema di corpi, volti, scombussolamenti psicosomatici. Stavolta l’esito è più freddo, ma il regista rumeno si conferma un umanista di vaglia e un ottimo narratore.

Tratta dal romanzo “Luminiţa, mon amour” di Cezar Paul Bădescu, coautore della sceneggiatura, la pellicola è il ritratto cubista di due ragazzi, Toma (Mircea Postelnicu) e Ana (Diana Cavallioti), uniti sotto il segno della codipendenza. Cubista per via del continuo ricorso all’analessi e dell’alternarsi di piani temporali diversi, distinguibili grazie alle pettinature di Ana e alla pelata di Toma che va e viene.

Ana è figlia di un dissidente, Toma di un ex informatore della Securitate. Ciononostante, il film preferisce un approccio psicanalitico a uno politico-sociale. Scelta coraggiosa, con le tutte le complicazioni che porta con sé, e tutto sommato adatta al focus del cinema di Netzer, vale a dire le sfumature disfunzionali del rapporto tra genitori e figli. Ana, mon amour racconta la parabola di un amore (che amore non è) all’ombra di famiglie oppressive, a loro volta disfunzionali, e della religione ortodossa col suo ruolo per certi versi spiazzante di cuscinetto, di ammortizzatore.

La non linearità del film cozza con la sua estrema fisicità. In questo, Netzer osa molto più che in passato, consegnandoci scene strazianti e mai guardone. Ma rispetto al “Caso Kerens”, col suo picco finale d’intensità, Ana, mon amour rischia e opta per un anticlimax, sottolineando come il caos della vita non benefici di quel senso di “closure” garantito dai sogni. O dai film.

Călin Peter Netzer e il suo operatore Andrei Butică si confermano maestri della camera mobile, e il suono in presa diretta (a cura di Dana Bunescu e André Rigaut) contribuisce a un racconto filmico quanto mai avvolgente e realistico, pur senza raggiungere gli estremi in stile Dogma del titolo precedente. Chi si aspetta il drammone psicologico resterà deluso da Ana, mon amour e dalla sua partitura in bemolle, tutta dettagli e sfumature. Più che un “Niagara Niagara” rumeno, trattasi di una seduta terapeutica che constata un fallimento, un errore reiterato, la nostra inadeguatezza.

Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati

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