venerdì, Marzo 29, 2024

Bring Me The Head Of Carmen M. – Felipe Bragança e Catarina Wallenstein – Pesaro 55: la recensione

 [perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#f49542″ class=”” size=””]Bring Me The Head Of Carmen M. è un circo di primitive meraviglie e orrori. Tutto è instabile, esasperato.[/perfectpullquote]

Felipe Bragança e Catarina Wallenstein, registi del film, creano disordine, caos, schiacciano il mito stesso da cui sono stati ispirati, Carmen Miranda, la diva che ha portato la modernità spazzando via le vecchie convenzioni. L’icona portoghese diventa il fulcro di questa pellicola, insieme ad Ana, interpretata da una straordinaria Catarina Wallenstein, che cerca disperatamente di avvicinarsi alla voce delicata e ai gesti inconfondibili di Carmen, ma fallisce un tentativo dopo l’altro.

L’attrice entra in una spirale di sconforto per non essere riuscita a soddisfare i disegni e i progetti di un regista che resta anonimo, in un film che probabilmente non sarà mai diretto riuscendo a trasmettere la follia del lavoro di una performer in una ricerca spasmodica senza fine.

In una commistione di colore e bianco e nero, le sequenze si mischiano, la realtà vissuta dalla protagonista che prova a recitare e il suo sogno ad occhi aperti, è in questi passaggi che l’interprete si fonde con la creatura, confrontandosi e completandosi, ma come la grande attrice anche il personaggio di Wallenstein sembra divorata da Rio de Janeiro.

Carmen Miranda è stata una figura complessa, multipla, difficile da raggiungere nella sua totalità, soprattutto quando la si vuole inserire in un universo che non la comprenda più, ma che l’abbia stigmatizzata rendendola una specie di chimera, una specie di mostro. Una mise en abyme che diventa un perfetto strumento di indagine sul passato ma anche sul patrimonio culturale brasiliano nel tentativo di comprendere il presente con la sua ipocrisia, afasia e instabilità economica.

 [perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#f49542” class=”” size=””]Bragança e Wallenstein sembrano porsi questa domanda: cos’è il Brasile e cosa vuol dire essere brasiliano? [/perfectpullquote]

Ma non cercano di rispondere, non trovano una sintesi, le immagini inquinate, precarie, il meta-cinema, la frammentazione e l’intertestualità nella sintassi filmica indicano un recupero di testi, parole, gesti e atteggiamenti che sono stati messi a tacere dalle nuove ideologie. Il film infatti si colloca in quel periodo di mezzo, quando il Brasile fu scosso da una forte crisi identitaria, girato prima del risultato delle elezioni dello scorso ottobre che ha portato un’ondata conservatrice nel paese guidata dal movimento di estrema destra e dal nuovo presidente Jair Bolsonaro.
L’universo onirico e favolistico a cui attingono i registi, cifra stilistica soprattutto di Bragança, risulta inaspettatamente attaccato al reale, come se fosse necessaria l’illusorietà per trovare un accesso sincero e spontaneo all’ambiente, alla società e all’esistenza stessa.

Francesca Fazioli
Francesca Fazioli
Laureata nelle discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo, ha frequentato un Master in Critica Giornalistica all'Accademia d'arte drammatica Silvio D'Amico e una serie di laboratori tra cui quello di scrittura cinematografica tenuto da Francesco Niccolini e Giampaolo Simi. Oltre che con indie-eye ha collaborato e/o collabora scrivendo di Cinema e Spettacolo per le riviste Fox Life, Zero Edizioni, OUTsiders Webzine

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