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Estate 1993 di Carla Simón: la recensione

Carla Simón, regista catalana classe 1986, ha solo sei anni nell’estate della sua vita, quella del sole che senza avvisare cambia volto, accieca e disorienta, dello straniamento provocato da una nuova percezione di sé, degli altri, dell’immagine di sé specchiata negli attegiamenti degli altri. Se per i più è la stagione sospesa che precorre l’adolescenza, prepara alla palestra dell’età adulta chiudendo i conti con l’innocenza, l’estate dell’autrice, in egual modo amniotica, arriva invece in forzato anticipo.

E allora Carla rinasce, piccola coraggiosa fenice, in Frida. Così la Simón rinomina la sé bambina che naufraga una e riemerge altra in questa vissuta e trasposta Estate 1993, suo lungometraggio d’esordio premiato a Cannes nel 2017 come miglior opera prima, e scelto, controcorrente, per rappresentare la Spagna agli Oscar dello scorso anno.

Nessun manierismo, nessun clamore, tutto rientra nel circuito dell’ordinario, viene alla luce come flusso prepotente ed ellittico attraverso le pieghe della memoria, una memoria che pur essendo strettamente personale nella visione d’insieme, parla secondo un codice universale fatto di dettagli, stati d’animo, episodi d’infanzia largamente condivisi.

Estate 1993 è un sogno ricorrente dai confini ovattati del quale si ricordano però con i lucidità i passaggi, non necessariamente consequenziali, la cui somma dà sempre lo stesso risultato: una storia di vita imperniata attorno alla sofferta elaborazione di un lutto precoce che da sommerso e indicibile si fa cosciente.

Simón recupera lo sguardo di Frida sul proprio universo-mondo, cangiante da urbano a contadino, da familiare a irriconoscibile, estraneo, troppo stretto perché schiacciante, fatto di spazi e sentimenti paradossalmente troppo grandi. Frida, già orfana di padre, vive in città con i nonni e l’adorata zia Lola quando sua madre muore; lo spaesamento che da osservatori si avverte, data l’assenza di coordinate geografiche (solo a posteriori sarà possibile identificare il non luogo dell’incipit come Barcellona) e narratologiche, è lo stesso che la bambina sente nel cuore. Sradicata dal nucleo abituale e accolta in quello nuovo costituito da Esteve e Marga, zii materni, e dalla loro figlia biologica Anna, deve ricollocare se stessa di fronte alla mancanza di punti di riferimento, prima, a un centro diverso, poi.

E allora, mentre cerca più o meno consapevolmente di ricavarsi il posto, prende le misure, sonda le relazioni e i territori. Nelle interminabili ore di campagna, dove la natura le è ostile e le cicale non smettono di assordare, ogni tentativo di stabilire un contatto autentico con le persone è ostacolato da una mancanza, o, meglio, da una mancata comprensione della mancanza che ne impossibilita l’accettazione. A Frida non riesce di piangere, vive a freno fuorché nella verità del gioco che ritualisticamente esorcizza a mano a mano tutto il dolore maturato facendolo affiorare in superficie: truccarsi e parlare come la mamma, offrire alla Madonna un pacchetto di sigarette per lei è il suo modo di sentirla ancora vicina, fare una telefonata al suo vecchio numero quello per realizzare che davvero non risponderà più. E’ una presa di coscienza che, insieme al crescente desiderio di essere amata dalla famiglia acquisita, muove le mosse da queste illuminazioni ma ha tempi di maturazione lunghi: non dura certo un’estate la gestazione di Frida.

Carla Simón le dà forma ora per la prima volta attraverso un’opera introspettiva, mai autoreferenziale; alle spalle un percorso artistico breve ma urgente e decisivo, eviscerazione di quegli spettri che la accompagnano dal 1993. Born Positive del 2013, tra gli altri lavori, documenta le storie dei tanti nati nella sua stessa decade e affetti da HIV, causa di morte per sua madre a cui in Estate 1993 si allude soltanto, virus innominabile di fronte a una bambina che senza risposte si chiede perché tutti scappino se cadendo si ferisce un ginocchio.

Il film è distribuito nelle sale italiane da Wanted Cinema, encomiabile per la scelta di renderlo fruibile in lingua originale con sottotitoli, così che nulla si perda delle straordinarie performance attoriali tra le quali spicca quella della giovanissima Laia Artigas: carismatica, fragile, capricciosa, brillante Frida.

 

 

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