giovedì, Aprile 18, 2024

Gioventù bruciata di Nicholas Ray: la recensione

Basterebbero le parole di Nicholas Ray per celebrare l’importanza di Gioventù bruciata: per il regista americano è questo il suo film migliore, l’opera destinata a rimanere attuale e valida nel corso del tempo. E pazienza se certe scene, per ammissione dello stesso Ray, sono caricate di eccessivo sentimentalismo: Gioventù bruciata è il film nel quale l’autore riesce a esprimere con maggiore efficacia alcuni capisaldi della sua produzione, la solitudine dell’uomo e la lotta dell’individuo per adattarsi nella società in cui è costretto a vivere.

Ovviamente il film è diventato un’icona soprattutto per altri motivi. Nell’immaginario collettivo infatti Gioventù bruciata si identifica con James Dean, con il mito del giovane ribelle che si oppone alle convenzioni e al perbenismo dilagante; Gioventù bruciata è l’eroe maledetto segnato indelebilmente da un destino tragico, è il perenne conflitto tra padre e figlio, è la sequenza del tragico gioco della “corsa del coniglio”, con le automobili sparate a folle velocità verso il ciglio di un burrone.

La leggenda scorre sulla pellicola e la Cineteca di Bologna omaggia con il restauro digitale uno dei film più famosi nella storia del cinema. Jimmy Stark è un giovane inquieto che si è appena trasferito in città con i genitori. Le cose però non vanno nel migliore dei modi: tra la predisposizione a cacciarsi nei guai e il burrascoso rapporto con i genitori, tra un amore ostacolato e i litigi e le incomprensioni con un gruppo di ragazzi, il protagonista cercherà una soluzione al suo disorientamento.

Oltre il mito, oltre il ribellismo generazionale, oltre lo sguardo ineffabile di James Dean, c’è il punto di vista inquieto di Nicholas Ray, nel cui percorso autoriale ha disseminato qua e là profonde figure di uomini e ragazzi “contro”, figure che nello scontro con i simboli della società (e della cultura) americana, manifestano quel disagio latente che trova libero sfogo nei movimenti di protesta degli anni sessanta. Ray ha quindi il merito di anticipare i tempi, portando sullo schermo le debolezze umane che sono del resto le debolezze di una struttura, di un impianto sociale e politico. Ma la lungimiranza di Ray non si esaurisce solo sul piano tematico; anche nel linguaggio e nella scelta delle componenti della messa in scena, il regista americano dimostra grande innovazione. Innanzitutto la costruzione formale delle inquadrature, con una grande importanza attribuita alla disposizione dei corpi e degli oggetti in quadro. In questo caso sono evidenti le influenze teatrali, con la drammatizzazione della scena che si avvale di un découpage tradizionale che sembra risolversi dentro (e non oltre) i confini dell’inquadratura. Il cinema di Ray è fortemente influenzato dal teatro (l’esperienza del Group Theater ha grande influenza sulla sua formazione professionale) mentre la complessità del quadro scenico è acuita dall’uso costante della focale corta che altera la prospettiva e le forme, e restituisce un’immagine più vicina alle sensazioni interiori dei personaggi (non è un caso che il cinema di Ray sia stato spesso accostato a quello di Joseph Losey); frequente è pure l’utilizzo del CinemaScope nelle scene in esterni come dimostra ad esempio la sequenza della corsa del coniglio, basata esclusivamente su questa tecnica.

Regista coraggioso e aperto ai cambiamenti, Ray ha attraversato trenta anni di storia del cinema all’interno di Hollywood e, malgrado tutto, ha saputo come pochi altri spingersi oltre gli stereotipi di genere. Assieme a Elia Kazan è stato il punto di riferimento per le nuove ondate di registi e ha contribuito a modernizzare un sistema ancorato ai generi e al rispetto dei codici standard. Ecco perché Ray è più importante del mito di James Dean e di Gioventù bruciata: grazie a lui, al suo sguardo irrequieto, l’insofferenza generazionale si è fatta arte.

 

Michele Nardini
Michele Nardini
Michele Nardini è laureato in Cinema, Teatro e produzione multimediale all’Università di Pisa e ha alle spalle un Master in Comunicazione pubblica e politica. Giornalista pubblicista, sta maturando esperienze in uffici stampa e in redazioni di quotidiani, ma la sua grande passione rimane il cinema

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