giovedì, Aprile 25, 2024

Leoni di Pietro Parolin: la recensione e l’incontro con il cast e gli autori

Vincitore del bando della Regione del Veneto finalizzato a favorire la creatività dei giovani, realizzato con la collaborazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri e sostenuto da imprenditori locali, da Treviso Film Commission e Treviso Glocal, interamente girato fra il centro storico di Treviso e Susegana, l’Altipiano del Cansiglio e i territori della Provincia di Padova, arriva nelle sale italiane dal 5 febbraio “Leoni”, opera prima del padovano Pietro Parolin, con Neri Marcorè, Piera Degli Esposti, Stefano Pesce, Anna Dalton e Pierpaolo Spollon.

Storia di provincia del Nord Est, territorio in caduta libera, travolto dai fasti di una crescita economica vorticosa che, con la stessa velocità con cui si è gonfiata, sta esaurendo il suo propellente e fa gran fatica a riconoscersi, vuol essere un affresco non territoriale, ma piuttosto uno sguardo che da una realtà piccola, quella che ruota fra Treviso e dintorni, si estende al Paese tutto.

Film di padri e figli, il vero padre saggio del film è il giovane Martino (Pierpaolo Spollon) anche se la sua è una particina secondaria che rischia di smarrirsi fra le performances di notevole caratura di Marcorè e Degli Esposti, punte di diamante di un buon cast, fatto di interpreti tutti in parte.

Eppure, se teniamo conto anche degli intenti sottolineati in conferenza stampa dall’autore, il messaggio del film converge su di lui, su quella scelta di non compromissione e di integra moralità di cui sarà il solo capace.

Martino è figlio di Gualtiero Cecchin (Neri Marcorè) gaudente rampollo di illustre famiglia ormai scarsa di mezzi, che vive di espedienti con trasognata nonchalance, non ha ereditato il gene imprenditoriale del padre ma ne ha solo sperperato la fortuna e ora deve inventarsi un lavoro. Inoltre è nipote di donna Mara (Piera degli Esposti), vecchia matriarca che dal suo letto amministra, grifagna, le scarse finanze che restano e le potenti conoscenze che contano, soprattutto quelle ecclesiastiche che la riforniscono regolarmente di acqua di Lourdes e Fatima, aspettando la spinta della vecchia per la nomina a cardinale.

Martino vive dunque a stretto contatto con prototipi di generazioni decotte, prodotto avariato di modelli di vita che nel tempo hanno eroso il tessuto sociale e morale del Paese, producendo disastri e contribuendo al suo degrado.

Hic sunt leones, ma ormai il loro ruggito sembra un debole rantolo. Sopravvissuti a sè stessi il ridicolo è la loro cifra distintiva, e dunque il registro comico e lo stralunato procedere della narrazione sono quanto mai coerenti con la sostanza del plot.
Con mestiere e passione Parolin ha girato un film profondamente politico, di quella politica che passa per le vite delle persone qualsiasi che s’incrociano come le strade ortogonali di una città, e nel punto d’incrocio il semaforo non funziona più.

Durante la conferenza stampa seguita alla proiezione in anteprima del film a Treviso il regista, con parte del cast, ha raccontato del suo film cose che erano già tutte nelle immagini, nelle scelte di montaggio, nei campi lunghi sulla città e nelle riprese ravvicinate sui personaggi, nell’intimità su vite individuali e nello straniamento prodotto da un habitat usurpato, fatto di smarrimento nella perdita dei punti di riferimento. La scelta del registro comico era dunque obbligata.

Senza dubbio – afferma il regista – questo film tramanda quel binomio secondo me indissolubile (e irrinunciabile in una commedia) che vuole giustapposti dramma e comicità, come nella vita.

Fra satira di costume e denuncia sociale, i precedenti nella commedia all’italiana erano troppo illustri per essere ignorati, ma quello che distingue Leoni è la cifra autonoma, che ne fa un’opera legata al presente, in presa diretta sul reale, eppure con quel tanto di divertito divagare che salva i diritti della narrazione e della fantasia.

Un film per tutti, è stato spesso ribadito a più voci dall’autore e dagli interpreti, e con quel “tutti” non si è inteso sminuirne il valore artistico quanto piuttosto riportarne le credenziali a quella misura di popolarità che ne esalta la godibilità senza nulla togliere al messaggio sotteso.

Gualtiero, a dispetto del fanfarone che è, mi ha subito fatto simpatia – ha detto Marcorè del suo personaggio – perché tutto sommato non ha un animo cattivo; è solo superficiale, immaturo e ostenta una sicurezza e una signorilità che in fondo non ha mai avuto. Nel corso del film ha la possibilità di crescere, di diventare adulto, quindi di evolversi. Non mi sono ispirato a nessuno in particolare ma sicuramente ho preso spunto da persone che mi è capitato di incontrare qua e là nella vita reale.

E dalla vita reale arrivano anche il camorrista da esportazione, Gennaro (Antonio Pennarella), estensione tutta settentrionale di un malcostume delinquenziale che, quando serve, non conosce confini regionali, e l’agente di polizia Alessio Leopardi (Stefano Pesce), corrotto che non sa di esserlo, addirittura omicida per giusta causa (a suo vedere), e ancora la bellona dedita a sesso estremo e la mogliettina tutta casa e scuola, protagonista inconsapevole di video di successo su smartphone catturati da alunni molto poco studiosi.

E infine altri personaggi minori, in una coralità cittadina che regista e attori non hanno tralasciato di ringraziare per la disponibilità e l’accoglienza mostrata nelle poche settimane di ripresa.

Sì, perché un film low budget come questo si può girare solo in un tempo molto breve.
Un segno ulteriore di merito, l’applicazione pratica del motto del film “ non aspettare che qualcuno ti risolva la vita“, come ha sempre fatto Gualtiero, ciò che si può fare si deve fare, e ognuno deve cercare la propria strada. Come questi giovani della Treviso Film Commission.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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