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Mein Bruder heißt Robert und ist ein Idiot di Philip Gröning – Berlinale 68, Concorso: la recensione

Due gemelli, Robert (Josef Mattes) ed Elena (Julia Zange), immersi tra le spighe davanti a una stazione di servizio nel sud-ovest della Germania. Lei si sta preparando per l’Abitur – la maturità del sistema tedesco – e lui, l’idiota, l’aiuta. C’è qualcosa di marcio nell’idillio, una tensione sessuale, un senso di minaccia che trasuda dalle riprese semidocumentaristiche di formichine e zanzare all’arrembaggio, api su torsoli di mela accanto ai libri, una cicala agguantata e costretta ad ascoltare la musica tramite auricolari. La macchina da presa fa meraviglie, confeziona ogni inquadratura come un incipit, gioca con le ombre di una vicina pala eolica e si addossa ai corpi dei gemelli. A tratti, immagini sgranate della natura. Per molto, molto, molto tempo non succede nulla.

O meglio: si ciarla di filosofia. Heidegger, Sant’Agostino, Brentano, ma a livelli da biscotti Leibniz. La pentola a pressione del film a un certo scoppia all’interno del negozietto ed ecco a voi il buon vecchio binomio sesso & violenza. Sempre che si sia ancora svegli. Gröning annacqua un’idea che già starebbe larga in un corto di dieci minuti da presentare come saggio prima delle vacanze, la annacqua, la annacqua, e si arriva a minuti centosettantaquattro. Complici le ridicoli pretese ascetiche del regista è forse più difficile restare seduti che addormentarsi.

Josef Mattes è il figlio di Eva, mentre Julia Zange è un’apprezzata autrice. La sceneggiatura del film vorrebbe spacciarli per dei teutonici Mickey & Mallory all’esame della vita, ma il teutonismo che impesta queste tre ore adolescenziali toglie persino la voglia di far paragoni. Come dice il Tschick inventato da Wolfgang Herrndorf e portato sullo schermo da Fatih Akın, Ohne Sinn! Senza senso.

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