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Il Ragno Rosso di Marcin Koszalka: la recensione in anteprima

Se guardi troppo a lungo dentro l’abisso, anche l’abisso guarderà te“.

Nietzsche, Al di là del Bene e del Male.

Atroce, crudele, perverso; brutale, malvagio, efferato: sono molti gli aggettivi che potrebbero addirsi al tema del film Ragno Rosso, esordio narrativo del documentarista polacco Marcin Koszalka, ma non, tra questi, disumano. Quello che scorre sullo schermo è perfettamente umano, piaccia o no, sembra affermare il regista.

Pulsioni che diventano nervature, strade, destini, riportano il Male ad una dimensione osservabile quanto ogni altro gesto il corpo possa consentirci, sebbene impossibile da spiegare. Anche Koszalka, come Nietzsche, cerca di posizionare il suo sguardo al di là del Bene e del Male, partendo dalla reale vicenda degli assassini seriali che sconvolsero la Polonia degli anni Sessanta per costruire un noir capitale.

Le azioni degli esseri umani coinvolti vengono seguite senza chiosa alcuna e proprio questa deliberata assenza apre uno spazio percettivo inimmaginato che rende impossibile, ad ogni fotogramma, stabilire che cosa accadrà nel successivo. Che cosa avviene nella mente di chi sia venuto a contatto con un evento estremo come un omicidio? Sapremmo schermarci dalla persuasione del Male o come di una medusa appena sfiorata ne porteremmo indelebilmente il segno?

Dimenticate le risposte che affiorano dal senso comune e abbandonatevi al viaggio che Koszalka propone: in Ragno Rosso il cinema diventa possibilità di esplorare ogni possibile interazione umana, sia la più bieca, illogica, che mai penseremmo di percorrere nella vita. Forte dell’esperienza di documentarista, il regista persegue (e consegue) con tale lucidità il distacco necessario a garantire un congruo spazio di osservazione da riuscire a rendere plausibili, in ogni istante, sviluppi contraddittori tra loro: il protagonista si sta innamorando o sta per commettere un omicidio?

Ha appena vent’anni, Karol, e come tutti i giovani nella Polonia dell’anno 1967 ha una vita ordinata, ma non strutturata e la sua attrazione per l’assassino rivela il bisogno di sondare il proprio lato oscuro, passando attraverso quella carnalità tanto difficile da sondare dietro la Cortina di Ferro.

Basti pensare che al concerto che i Rolling Stones tengono a Varsavia in quello stesso anno, la polizia reprime ogni tentativo del pubblico di alzarsi, ballare, partecipare col corpo la vitalità della musica. È una scenografia livida quanto efficace a guidarci attraverso una Cracovia spettrale ed interni soffocanti come i gangli neuronali di una mente folle, tema centrale della ricerca di Koszalka, già esplorata nei precedenti lavori Friendly Death e The Lust Killer.

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