Home alcinema Un gatto a Parigi di Jean-Loup Felicioli e Alain Gagnol: la recensione

Un gatto a Parigi di Jean-Loup Felicioli e Alain Gagnol: la recensione

Mentre la Folimage sta promuovendo “Tante Hilda!” il film d’animazione diretto da Jacques-Rémy Girerd e presentato alla scorsa Berlinale, in Italia esce con quattro anni di ritardo “Une Vie de Chat“, primo effettivo lungometraggio di Jean-Loup Felicioli e Alain Gagnol prodotto dallo stesso Girerd, fondatore degli studi situati a Bourg-lès-Valence.

In attesa di vedere “Phantom Boy“, il nuovo film di Felicioli/Gagnol dedicato alla lotta di un giovane supereroe con una gang del crimine, adesso in fase di postproduzione e la cui distribuzione è prevista per il 2015 sempre attraverso i canali Folimage, è possibile finalmente godersi sul grande schermo il lavoro di una delle case di produzione più interessanti degli ultimi anni nel campo dell’animazione, fondata nel 1981 e partita inizialmente con la sperimentazione passo uno per poi produrre una lunga serie di corti, privilegiando un approccio 2D tradizionale senza cedere alle lusinghe della computer grafica.

Felicioli e Gagnol hanno cominciato proprio all’interno della Folimage, cimentandosi prevalentemente con i cortometraggi sin dalla fine degli anni ’80 e realizzandone dieci per la serie televisiva “Les tragédies minuscules“, tutta incentrata sulle piccole tragedie del quotidiano con i personaggi immersi in un’iperrealtà di derivazione pittorica, fatta di colori realistici, piani sbilenchi e false prospettive, desunte dall’influenza delle avanguardie storiche ma anche dell’animazione nazionale.

Uno stile riconoscibilissimo che attraversa tutto il lavoro dei due autori fino al loro primo lungometraggio e che si è delineato attraverso la passione per disegnatori come Lorenzo Mattotti e Jacques de Loustal, oltre quella per la pittura di Modigliani, Matisse, Cezanne, Picasso.

Dino è un gatto con almeno due vite; durante il giorno è il fedele compagno della piccola Zoe, una bimba apparentemente muta, accudita da una governante non troppo limpida mentre la madre Jeanne, commissario di polizia, è quasi sempre assente per lavoro e sopratutto per un’interminabile lotta con un boss della mafia locale, Victor Costa, responsabile tra le altre cose di aver ucciso il marito, padre della piccola Zoe.
La seconda vita di Dino comincia tutte le notti; quando Zoe cade in un sonno profondo il felino esce dalla finestra e attraversando i tetti di Parigi penetra nell’appartamento di Nico, un piccolo scassinatore che vive di furti di scarsa entità, il cui spirito di libertà è totalmente connesso con quello del gatto, che lo segue in tutte le scorribande notturne. Quando Zoe seguirà il percorso di Dino durante una notte, scoprirà accidentalmente i piani del malvagio Victor Costa ed entrerà in contatto con Nico, ladro dal cuore buono.

Il numero delle tavole di cui Felicioli e Gagnol si sono serviti per la realizzazione del film supera le 700 unità, un approccio che ha favorito una libertà maggiore nella rappresentazione delle espressioni, osservate e disegnate da molte angolature, ma che in termini tecnici ha significato circa tre anni di lavorazione dopo aver impiegato due anni per la scrittura e la progettazione. Con una consistente partecipazione Belga alla coproduzione, l’animazione presso gli studi Folimage è stata seguita da sei animatori con un approccio del tutto artigianale.
Frutto di elaborazioni successive, “Une vie de chat” nasce dalla passione per il romanzo e il cinema noir, tradotta in un contesto dove l’inconscio di una psiche adulta entra nell’immaginario infantile trovando un punto di contatto tra incubi e desideri.

Esattamente come in “Le couloir – The Corridor“, uno dei cortometraggi più vicini a “Una vie de chat” tra quelli realizzati da Felicioli/Gagnol, l’elemento del sogno condivide lo stesso livello della realtà, elaborando un concetto della cultura surrealista; sono le allucinazioni di Jeanne, che visualizza Victor Costa come un mostro reale, oppure è lo stesso Costa che assimila il suo “io” al sembiante di un gigantesco e mostruoso Golem, immaginato con la forma di un oggetto d’arte africana. In mezzo agli incubi e all’origine dei traumi, le linee che descrivono la realtà sono quelle di un espressionismo dolente, vicino alle tragedie del quotidiano, non è certamente un caso, per esempio, che il volto di Jeanne sia modellato sui tratti di Jeanne Hébuterne nel dipinto realizzato da Modigliani nel 1918 e intitolato “Ritratto di ragazza dai capelli rossi”; ma allo stesso tempo la realtà subisce una numerosa varietà di deformazioni immaginali, come nella sequenza interamente al buio, dove Nico libera Zoe, risolta con un riferimento esplicito alle “Fantasmagorie” di Émile Cohl, pioniere dell’animazione Francese, realizzate nel 1908 con tratti neri disegnati su fogli bianchi e proiettate successivamente in negativo, e qui riproposte per rappresentare la soggettiva di Dino, come tutti i gatti, capace di vedere in assenza di luce.

La fiaba di ispirazione “nera” e “Horror”, torna nella sequenza di Zoe braccata all’interno dello Zoo ispirata a “The Night of the Hunter” di Charles Laughton, oppure in tutta la rocambolesca sequenza conclusiva ambientata tra i doccioni e le Gargolle di Notre Dame, in una strana fusione espressionista del mondo Disney con il King Kong di Cooper e Schoedsack.

Sono numerosi livelli di rappresentazione del reale che servono a Felicioli/Gagnol per dialogare con gli spettatori adulti in un contesto in cui il riferimento culturale assume di volta in volta una diversa valenza per gli spettatori più piccoli, basta pensare al modo in cui tutto il cinema espressionista e i riferimenti a Murnau contenuti nella sequenza d’apertura, si trasformino a poco a poco nella fluidità di un mondo Mélièsiano che interpreta l’animazione come territorio del possibile nel rapporto tra creatore e immaginazione, un’apertura senza soluzione di continuità che ci restituisce il senso di un’opera come irrimediabilmente incompiuta e sottoposta a continue trasformazioni, dal Duck Amuck di Chuck Jones alla “Linea” di Cavandoli. Nell’espressionismo realista di Felicioli/Gagnol, lo spazio per la mutazione e la deformazione prospettica è l’ingresso verso un mondo fatto di sogni, incubi e traumi accomunati allo sguardo di tutti, come a suggerirci che la natura stessa della rappresentazione si lega all’ambiguità del punto di vista, una complessità percettiva che coinvolge tutti i disegni e i riferimenti del film, inclusa la rappresentazione di Parigi, trasformata in un luogo fantastico, con elementi di altre città europee, Valencia in primis, a contaminarne la memoria.

Quella di “Une vite de chat” si configura quindi come una sfida in assoluta controtendenza rispetto al tentativo di targetizzare il pubblico di riferimento nel cinema di animazione contemporaneo.

 

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