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Grifi e la filmografia impossibile # 5

 

Estromesso a forza da un sistema che non riesce a contenerlo Grifi si convince ancora di più dell’impossibilità di trascendere la propria situazione concreta per creare film che falsificano la vita.

(..continua # 5) A partire dagli anni ’90, quando riprenderà a lavorare, farà da guida a gruppi di giovani, studenti e videoattivisti che portano la telecamera in mezzo agli eventi, sfruttando sempre più le nuove tecnologie (presto quella digitale) per trasformare in immagine la vita che si trasforma.
Inoltre Grifi avvia un ripensamento della sua opera, comincia a lavorare all’idea di montare materiali abbandonati da tempo, dare nuova forma ad altri, ma soprattutto si pone il problema di come preservare i tantissimi nastri che ha accumulato nella sua carriera di videoteppista. Per questo progetta una macchina così detta lavanastri che ha la funzione di rigenerare e rendere nuovamente fruibili video degli anni ’70 che il tempo e le cattive condizioni di conservazione avevano reso illeggibili. Il macchinario progettato da Grifi, che rigenera lo stato fisico dell’emulsione dei nastri analogici e li restituisce su supporto digitale è attivo da settembre 2004, all’interno del Parco scientifico di Tortona, realizzato da Consorzio Media Comunications, e sta dando risultati brillanti. Nel 2001, Grifi realizza A proposito degli effetti speciali, sul tema dell’eredità lasciata al cinema underground dalle avanguardie storiche, con Alessandra Vanzi, nel ruolo di Miss Ontophilogenesis, Grifi e Man Ray (girato nel suo studio parigino con Gianfranco Baruchello) riflessi in uno specchio deformante.
Poco prima di scomparire Grifi aveva cominciato a rimontare del materiale girato negli anni 64-65 su Patrizia Vicinelli, poetessa fonetica e visuale bololgnese che ha lavorato nel teatro sperimentale di Braibanti ed ha fatto parte dell’ala estrema del Gruppo 63, scomparsa sedici anni fa, che fu la sua compagna prima che le loro strade fossero bruscamente divise dal carcere e dalla droga.
Il lavoro è stato terminato dall’Associazione culturale Alberto Grifi ed Interact su indicazioni precise dello stesso Alberto, a partire dalla sua morte avvenuta il 22 Aprile 2007 e presentato al Festa del cinema di Roma lo scorso ottobre. Alle immagini intime della coppia, dei loro familiari e amici e a frammenti delle performance di poesia sonora di Patrizia sono state aggiunte le immagini e la musica di Paolo Fresu, amico di vecchia data della scrittrice bolognese. Il risultato è un opera quasi diaristica, con i i volti, i corpi e la voce in primissimo piano, la macchina da presa che al ralenti restituisce una dimensione che sfiora l’onirico, la cui definizione migliore forse è proprio quella di poesia, visuale e fonetica.
Anche quest’ultimo lavoro che Grifi ci ha lasciato dimostra ancora una volta, se fosse stato necessario, che per lui l’atto di girare, produrre materiale, è soltanto l’inizio di un percorso che non ha confini delimitati, inserito perfettamente nel flusso naturale dell’esistenza, esso può essere continuamente ripreso e interrotto, inframmezzato da tutt’altro perché in realtà altro non è, è semplicemente una parte della vita stessa.
Godard, riferendosi al linguaggio, diceva: i limiti del mio linguaggio sono quelli del mio mondo, e quando parlo, io limito il mondo, gli pongo dei termini. E quando la morte logica e misteriosa verrà ad abolire questi limiti, tutto sarà ‘flou’. Ovvero vago, indefinito.
Per Grifi è diverso : avendo lottato tutta la sua esistenza per eleggere la vita ad unico linguaggio possibile, e celebrandone l’indefinitezza formale come unico modo per captarne l’essenza, (del resto come dice Deleuze: “A volte bisogna dividere o fare il vuoto per ritrovare l’intero.” ((Gilles Deleuze, L’immagine-tempo.)) ) la morte non ha creato ma semplicemente continuato il flusso delle immagini, celebrando ancora una volta il miracolo della loro incompiuta , orfana, liberata presenza .

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