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Another Earth di Mike Cahill (USA, 2011)

Arriva un’età in cui potresti essere va a sbattere con ciò che sei stato”. La frase è di Chuck Barris in Confessioni di una mente pericolosa (Clooney, 2002), ma potrebbe adattarsi benissimo alla protagonista di Another Earth. Rhoda poteva essere un’astrofisica ma è stata, senza volerlo, una criminale. Ha solo vent’anni ma i quattro che ha passato in carcere non l’hanno aiutata a perdonarsi una colpa inammissibile. Adesso fa l’inserviente in una scuola pubblica e pulisce la casa di John, ex musicista cui un minorenne ubriaco ha ucciso moglie e figlio in un tragico incidente. Il minorenne era Rhoda. Lui non lo sa.

Pluripremiato al Sundance Film Festival del 2011, con tanto di standing ovation, l’esordio di Mike Cahill nel lungometraggio giunge in Italia soltanto adesso e sarà nelle sale a partire da venerdì 18 maggio. Nonostante il budget ridotto e la rilevanza della componente intimistica Another Earth è un film di fantascienza, tra i più riusciti degli ultimi anni. Il leitmotiv delle notizie di un nuovo pianeta in avvicinamento fa infatti da sfondo- e da fil rouge- alla sofferta vicenda di Rhoda, chiamando in causa le implicazioni di un doppio perfettamente identico della Terra  e dei suoi abitanti. L’idea, emersa da una discussione occasionale tra il regista e l’attrice Brit Marling, non è certo una novità per il grande schermo- Doppia immagine nello spazio (R.Parrish) l’affrontava già nel ’69- e dal punto di vista filosofico ricorda in parte Hilary Putnam e la sua ipotesi di Terra Gemella. Ma nel film di Cahill assolve una funzione puramente pretestuale e, tuttavia, perfettamente integrata al tema portante di Another Earth.

La vita di Rhoda dopo la tragedia è una ricerca inconsapevole di una nuova possibilità, così come gli individui di cui accetta il contatto non sono che specchi del suo stesso dolore. Gli echi e gli stralci delle speculazioni che rimbalzano da un medium all’altro, le riflessioni degli scienziati e le psicosi generate da un mondo parallelo traducono in parole il silenzio di Rhoda e danno voce al suo smarrimento. Può sembrare molta carne al fuoco ma l’equilibrio della rappresentazione è la vera forza della pellicola. A bilanciare la gravità della portata drammatica è una regia lieve e sapientemente discreta, memore dell’esperienza documentaria di Cahill, capace di creare quadri suggestivi da una freschezza priva di manierismi. Lo aiuta nel compito Brit Marling con la sua ottima interpretazione. Rhoda  rimette ordine per espiare ciò che ha distrutto e nel suo schivo sfiorare c’è tutto l’orrore della collisione trascorsa, dell’impatto letale e irreversibile. L’affianca un cupo Wiliam Mapother, famoso soprattutto per Lost dove interpretava uno degli “altri”, dunque quanto mai appropriato in tema di doppi. Cahill cura anche la fotografia mentre le musiche sono di Scott Munson e della band Fall On Your Sword. Se l’ingresso di Rhoda è scandito da un violoncello, John è accompagnato dalle note di un piano, fino all’incontro, imperfetto, di entrambi. Perché questa sarà la loro scommessa: trasformare in musica il rumore.

 

Lisa Cecconi

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