sabato, Ottobre 5, 2024

Berlinale 62 – Concorso – Bai Lu Yuan di Wang Quan’an (Cina, 2011)

Presentato in concorso alla Berlinale 62, Bai Lu Yuan – White Deer Plain è l’ultima fatica del regista cinese Wang Quan’an, già vincitore dell’orso d’oro nel 2007 con Tu Ya de Hun Shi e del premio alla sceneggiatura nel 2010 per Tuan Yuan. Rispetto ai lavori che lo hanno reso celebre, il regista sottolinea in conferenza stampa la novità costituita da quest’ultimo film: i premi ricevuti finora sono stati riconoscimenti che lo hanno autorizzato a tentare quest’esperimento difficile rimasto in sospeso per vent’anni. Bai Lu Yuan è il ritratto della Cina nel passaggio dall’imperialismo al comunismo, visto dalla prospettiva di una piccola comunità agricola, l’eponimo White Deer Village, nella sperduta provincia Shaanxi. Protagonisti della vicenda sono i membri di due famiglie prominenti, Bai e Lu, nelle figure di Bai Jiaxuan, capo del clan, Lu Zilin, sindaco del villaggio, e dei rispettivi figli. Con le raccolte nei campi a scandire il ritmo nel (e del) film, l’armonia del villaggio viene improvvisamente sconvolta dal contemporaneo manifestarsi di due piaghe: da una parte una donna macchiatasi di adulterio che sconvolge l’animo dei giovani contadini; dall’altra lo scoppio delle rivolte comuniste che nel 1921 avrebbero portato alla nascita del partito nazionale. Entrambe le novità costituiscono i primi segni di cedimento nella comunità, determinando un progressivo allontanamento dei figli dai padri, del futuro dalla tradizione. La storia, basata sul romanzo di Zhongshi Chen, permette a Wang Quan’an di analizzare questo particolare momento della storia cinese con distacco ideologico: sebbene la lotta politica sia il fondo degli eventi rappresentati, l’impero e il nuovo regime si equivalgono agli occhi di questi contadini, soggetti indistintamente a versare tasse a questo o quello schieramento. Con lo stesso distacco il regista mostra la caduta dei valori della vecchia Cina: mediante l’immagine del piccolo tempio distrutto sotto i colpi delle scuri comuniste, viene rappresentata la millenaria cultura cinese che si perde definitivamente; una presa di posizione che mette in discussione i valori stessi della rivoluzione, avvenuta tramite la sola violenza delle armi. Eppure Wang Quan’an non giustifica il passato, teatro di lascivia e corruzione. Proprio da queste tinte fosche e torbide il regista attinge l’atmosfera del suo film: una spirale di eventi che porta inevitabilmente alla perversione, alla compromissione, allo sfacelo. Nessuna morale viene risparmiata dal regista, che descrive l’avvento finale del comunismo col senso di sopraffazione di Jiaxuan, il capo del clan. Bai Lu Yuan è un film che farà sicuramente discutere in patria, ma che in ottica macroscopica pecca in fatto di originalità. I riferimenti sono molto evidenti: non solo Novecento di Bertolucci, di cui questo film sembra tanto una parodia, ma anche le brutali testimonianze della rivoluzione russa, da Pudovkin a Dovzenko, e le numerose epopee della dissoluzione di cui la cultura tedesca è contaminata, da Thomas Mann a La caduta degli dei di Visconti.

Davide Minotti
Davide Minotti
Davide Minotti nasce a Frosinone nel 1989. Dopo un'esperienza alla John Cabot University di Roma, si occupa ora di Germanistica e Scandinavistica tra l'Università degli Studi di Firenze e la Rheinische-Friedrich-Wilhelms-Universität di Bonn, dove vive. Appassionato di letteratura e cinema, spera che un giorno questi interessi possano diventare qualcosa di più concreto. Nel frattempo scrive e progetta cortometraggi nel perenne tentativo di realizzarli.

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