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Bill Plympton, la foto-intervista: Confessioni di un illustromane

Alfonso Mastrantonio e Francesca Pontiggia foto intervistano per Indie-eye network Bill Plympton uno dei grandi dell’animazione contemporanea in occasione dello scorso Trick Animation Festival di Milano, in programma alla fine del Marzo scorso; Bill Plympton è maestro indiscusso di un cinema di animazione estremo e mutante, ben nascosto nella confezione di un tratto apparentemente ludico e infantile che lui stesso individua come “classico”. La sua arte altro non è che l’applicazione radicale dei principi di Chuck Jones, tra libertà, violenza anarchica e assorbimento del racconto nella trasformazione del tratto. (m.f.)

Quello che al primo impatto stupisce nei tuoi film è il tratto: essenziale ed efficacissimo, contemporaneamente grezzo e raffinato. Puoi parlarci della tua tecnica di disegno e di animazione?

È molto semplice, puoi trovare tutti gli strumenti che servono in una cartoleria: fogli di carta e matite. Per la maggior parte dei miei lavori non ho utilizzato altro. Solo molto raramente uso dei software per omogeneizzare i colori e accentuare ombreggiature. Aggiungere dettagli, simulare i tessuti, calcare le ombre mi piace talmente tanto che preferisco farlo direttamente io in fase di disegno. Il computer viene utilizzato quasi solo in fase di animazione per comporre le sequenze: normalmente si usa un disegno per fotogramma, ma, disegnando tutto personalmente, per i miei lavori realizzo un disegno per ogni 3 o 4 fotogrammi. È un’esigenza, ma il risultato mi piace: gli scatti delle immagini danno una sensazione di vivacità alle figure.

Ti ho visto disegnare centinaia di schizzi per i tuoi fan, sul tuo taccuino e persino sulle tovaglie di bar e ristoranti. Possiamo definirti un “illustromane”?

Direi che è un espressione calzante. Non ho mai smesso mai di disegnare da quando avevo quattro anni e scarabocchiavo tutta la casa dei miei genitori in Oregon. Sono riuscito a farne una professione e il metodo che mi sono scelto mi porta a disegnare tantissimo, per diverse ore al giorno: per Idiots and Angels ho realizzato personalmente più di 3000 disegni a mano. Molti mi definiscono un masochista, io rispondo che mi ritengo un edonista: disegnare mi provoca piacere fisico, è quando smetto che mi sento male. Al momento non vedo l’ora di tornare a New York per rimettere la matita sul mio prossimo film. (un lungo su due amanti gelosi, provvisoriamente intitolato Cheating, Ndr)


Ti sei mai lasciato tentare dall’animazione CGI?

Lavorare in 3D è troppo costoso per il mio studio, e non ne sento il bisogno. La cosa straordinaria dell’animazione sta nel fatto che una matita e dei fogli di carta permettono di ottenere effetti speciali costosissimi, attori perfetti per il proprio film, e prospettive impossibili per la telecamera. Questo non toglie che i film della Pixar, della Dreamworks della Blue Sky siano spettacolari, o che perfino il mio amico Terry Gilliam nell’introduzione del mio ultimo libro dica di detestare il lavoro di animatore e di preferire di gran lunga quello con attori e effetti speciali. Per quanto mi riguarda, l’animazione classica è e sarà sempre la mia dimensione.

Si dice che la Pixar in passato abbia indetto delle “Plympton lessons” per insegnare il tuo stile ai propri dipendenti. Cosa c’è nel tuo lavoro che  interessa così tanto i colossi dell’animazione? Pensi che essere Bill Plympton sia qualcosa che si può insegnare?

Verissimo, anche se a quanto ne so è successo solo in un’occasione, diversi anni fa. Penso comunque che, prima che il mio stile, la Pixar sia interessata ad insegnare ai suoi dipendenti il mio metodo di lavoro: essere a capo di un piccolo studio indipendente che realizza lavori così di frequente richiede una certa disciplina. Inoltre, penso che siano interessati al mio sense of humour, a come riesco a far ridere attraverso i miei disegni, spesso senza utilizzare dialoghi. Ma insegnare ad essere me non penso sia poi così difficile. Io stesso ho appena scritto un libro in cui spiego tutti i segreti della mia professione: come esercitarsi nel disegno, come costruire le storie, ma soprattutto cosa scegliere di realizzare per riuscire a mantenersi. Oltre ad essere un artista devi anche ragionare da imprenditore.

Cosa vuol dire essere un animatore indipendente in un’era in cui tutti possono accedere a software di illustrazione e animazione digitale?

Penso sia davvero un ottimo periodo per essere indipendenti. Grazie a tecnologie come Flash adesso chiunque al giorno d’oggi può riuscire a fare un lungometraggio di animazione. Quando ho cominciato a realizzare i miei primi cartoon, ormai più di trent’anni fa, per lavorare da indipendente dovevi necessariamente avere un’infarinatura di fotografia, montaggio delle immagini e sonoro. È un’Anche per quanto riguarda la distribuzione ci sono talmente tante risorse: vendo su internet i miei DVD e le mie tavole, ho in progetto di far realizzare dai miei lavori delle apps (che non sopporto, ma che pare siano la moda del momento) e ho intenzione in futuro di vendere i miei corti tramite servizi come iTunes.

In effetti mi pare tu abbia un buon rapporto con la rete: durante la tua masterclass al Trick Animation Film Festival hai mostrato il tuo progetto Guard Dog Global Jam. Ci puoi parlare di cosa si tratta?

Io ho un bruttissimo rapporto con la rete, invece! Apprezzo moltissimo le possibilità che ti offre, ma sono un disastro col computer. Per fortuna ho un team che si occupa di gestire tutti i lati tecnici di Plymptoons.com, compreso l’inserire i testi che scrivo per il mio blog o l’organizzazione di iniziative come Guard Dog Global Jam. Volevo che il mio personaggio più popolare, oltre ad essere apprezzato dai fan potesse essere in qualche modo “condiviso” tra di loro. Così ho deciso di proporre a chiunque volesse di animare una sequenza di 5’ di Guard Dog: i primi a proporsi potevano scegliersi la propria sequenza. Ho ricevuto video da tutto il mondo, con le tecniche e gli stili più disparati, e trovo che il risultato sia magnifico.

Alla base dei tuoi soggetti c’è sempre un rapporto molto diretto tra quotidiano e surreale. Come nascono le idee per le tue storie?

È così che funziona la mia immaginazione: un episodio di tutti i giorni mi fa pensare a qualcosa di divertente, poi prendo quel qualcosa, lo allungo alle massime conseguenze e ci costruisco un film. Quando ho letto degli animali spediti e abbandonati nello spazio dai russi ho pensato che dovevano essere degli animali ben addestrati e che se fossero riusciti a tornare sarebbero stati piuttosto incazzati e da lì è nato …; Ho visto un mucca particolarmente avida di cibo, ho pensato “non vede l’ora di diventare un’hamburger” e ci ho costruito la storia per un corto; Prima di Idiots and Angels ero depresso e mi sentivo una cattiva persona e ho pensato che avevo bisogno di un angelo che mi costringesse a tornare in me. Anche il protagonista di Hair High sono io al liceo, e quella che guida è esattamente la mia Vespa di allora.

E per quanto riguarda le influenze nello stile?

Viaggio molto per riuscire a presenziare ai festival e incontrare fan e addetti ai lavori. In queste occasioni cerco sempre di assistere a più proiezioni possibile e sfruttare le pause per visitare musei di pittura, illustrazione, fumetto. Sento sempre il bisogno di nutrire il mio cervello di immagini da rielaborare: ad esempio per The Cow Who Wanted to be an Hamburger mi sono ispirato ad una mostra vista New York sulle illustrazioni per l’infanzia di Kandinskij. Cerco sia di tenermi aggiornato su tutto quello che viene prodotto nel mondo dell’animazione che di imparare dai maestri dei decenni e secoli scorsi.

A questo proposito, quali sono i tuoi titoli preferiti tra i lavori dei tuoi attuali colleghi?

Sono in attesa che il mio amico Bruno Bozzetto torni al cinema con un film, sicuramente diventerebbe il mio preferito degli ultimi tempi. A parte gli scherzi, ultimamente mi ha colpito molto Brendan and the Secret of Kells, per la limpidezza e la cura dello stile, ma ho apprezzato molto anche produzioni totalmente indipendenti come My Dog Tulip e Sita Sings the Blues. Se devo però eleggere il mio preferito dell’ultimo decennio è  decisamente Mind Game di  Mamoru Oshii:, a mio parere è il Quarto Potere dell’animazione, per profondità di temi e libertà stilistica.

E se ti dovessi chiedere qualche opinione sul cinema al di fuori dell’animazione?

Se ho una mania oltre a quella del disegno è decisamente la maniadi fare lo spettatore: attualmente i miei autori preferiti sono Tarantino e Aronofsky, che non ho problemi a definire due geni. Trovo che abbiano entrambi una forza visiva e un modo di rielaborare diversi immaginari che li avvicina in qualche modo alla libertà del cinema di animazione a cui ti accennavo prima.

Bill Plympton in rete

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