martedì, Aprile 23, 2024

Django Unchained: opera mondo, cinema cannibale

Perché, nella sua costante rielaborazione, nella sua sublime arte del frammento, Tarantino rilegge, ricicla, ruba, scompone e ricompone, disseziona, scompagina a proprio piacere, riformulando tutto in un linguaggio assoluto che non può avere alcun paragone. Inserisce così, un nuovo tassello a quel mosaico suggestivo che è la sua filmografia, nutrendosi di cinema e riproponendo cinema in un infinito, schizofrenico, feedback, in cui lo spettatore diviene parte attiva del recupero dei segni dell’infinito bacino della cultura popolare, riattualizzando lo scarto, ridefinendone i valori. Riporta il cinema alla sua natura di macchina immaginifica, al cui interno ogni coordinata può essere mutevole e la storia, non è più immobile dato acquisito, ma ingranaggio su cui agire con dinamica irriverenza (annientando di colpo tutto l’alto comando del terzo Reich, facendo ribellare gli schiavi) sino a rendere, così, giustizia alle sue vittime.

 Django Unchained è un opera mondo, in cui ogni inquadratura, ogni sguardo, ogni suono, ogni personaggio, ogni luogo, ogni costume, ha un portato esemplare che si presta a molteplici considerazioni (nel rapporto tra lo schiavo Stephen (nato ed invecchiato schiavo, senza alcuna vera consapevolezza di se, tanto da assumere le forme stesse del negriero) e Calvin Candie; nella figura di Sheba e in quella di Cora; nella lotta tra mandingo; nel percorso esistenziale di Django, è sotteso un arco che va da Malcolm X a Gramsci). E’ un fumetto (il nome Broomhilda è un omaggio alle strisce di Russell Myers), nella misura in cui Tarantino conosce perfettamente il grande valore sintetico dell’arte dei comics, il suo enorme potenziale creativo, e lo esplora con la competenza di un cultore, innumerevoli volte di più di quanto possa fare robaccia come un The Avengers qualsiasi, ribaltando il senso comune che vuole con fumettone identificare una pellicola poco credibile, cialtronesca. La violenza esasperata, i fiotti di sangue, lo splatter compiaciuto, hanno il segno grafico di una tavola animata come quelle del Raimi di Evil Dead II. Ed è un film d’attori, perché nessuno oggi filma gli attori come fa Tarantino. L’amore del regista per le sue creature, anche le più spregevoli, è infinito ed è visibile: le segue, le fa crescere e vivere, costruisce loro una storia anche per se pochi secondi (la foto del Partenone nelle mani del misterioso personaggio di Zoe Bell) e dà loro una monumentalità epica, che si fa subito immaginario. Strepitoso Samuel L. Jackson, che mima il clichè del negro da cortile ribaltandolo in un personaggio nauseante e sulfureo; Leonardo Di Caprio non è mai stato così credibile; Jamie Foxx si conferma attore di prim’ordine, spaziando in una gamma emotiva completa, riuscendo a dar corpo ad una figura atipica di eroe/antieroe. E poi c’è Cristoph Waltz che inghiotte, ogni volta che è in scena, letteralmente il film, con una interpretazione che ha dell’incredibile: corposa, assoluta, vera. Ogni sua espressione, ogni suo movimento, porta il segno di una caratura unica, di una preparazione maniacale, di una perizia senza pari.

Nel gioco degli infiniti richiami, ruolo di primo piano ha ovviamente la tanto decantata colonna sonora che tra brani composti all’uopo (la bella Freedom di Anthony Hamilton & Elayna Boynton; Black Coffins di Rick Ross), per la prima volta in un Tarantino, affianca, come invece d’abitudine brani tratti da pellicole nostrane, come I Giorni Dell’Ira di Riz Ortolani, dall’omonimo film di Tonino Valerii o Un Monumento, proprio da I Crudeli, di Morricone, che firma anche Ancora Qui, il brano inedito cantato da Elisa, per il quale non è il caso di far appello all’odioso orgoglio patrio e spendere altra parola (chi pensa sia un capolavoro vada a bussare ad altre porte). Gran finale, invece, con Annibale e I Cantori Moderni (con l’immortale fischio di Alessandro Alessandroni) e Trinity da Lo Chiamavano Trinità, questa sì un capolavoro.

Django Unchained, con la sua ipercinesi, i suoi dolly d’antologia, i suoi funambolismi, il suo cut’n’paste, è il prodotto di uno dei massimi autori del cinema contemporaneo; non solo un artista ineguagliabile: un creatore d’immaginari; un inventore di mondi, governati da leggi autonome, eppure sempre invariabilmente verosimili; il creatore di una mitologia pop a fil di lama senza veri e propri precedenti e, almeno finora, senza alcun vero erede.

Alessio Bosco
Alessio Bosco
Alessio Bosco - Suona, studia storia dell'arte, scrive di musica e cinema.

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