Recentemente alcuni registi italiani hanno dato vita ad una polemica a proposito della scarsa esportabilità del cinema italiano, ancora legato, a parere di alcuni, a meccanismi collaudati ma troppo antiquati. Nell’introduzione al suo libro, lei parla dell’incapacità di registi e produttori di esplorare nuovi linguaggi dal punto di vista sia tecnologico che contenutistico, del timore di aprirsi a generi e influssi che si allontanino troppo da quella rincorsa al verosimile che finisce per trasferire al cinema schemi e modelli tipicamente televisivi. Secondo lei la debolezza del nostro cinema sta in quelli che dovrebbero funzionare come elementi di supporto (dalla produzione alla critica) o vi è comunque un’effettiva povertà di contenuti e di linguaggi?
Lei ha sottolineato come uno dei limiti del meccanismo produttivo italiano sia quello di essere ancora legato a schemi ormai antiquati e di non essere in grado di sostenere il film con un’adeguata strategia di merchandising. Mi chiedo però se muoversi in questa direzione non finirebbe per togliere ogni spazio a film di elevato interesse culturale, ma di scarso rilievo commerciale (penso a opere come ‘Il dono’ o ‘ Case sparse: visioni di case che crollano’ di Celati. Pur con notevoli eccezioni, in cui strategie di lancio particolari hanno favorito l’approdo al pubblico di film altrimenti destinati a pochi, e penso ad esempio a ‘il vento fa il suo giro’ o a ‘Un’ora sola ti vorrei’). Oppure, come sosteneva poco fa, bisognerebbe avere più fiducia nella capacità del pubblico di accogliere prodotti diversi?
Assolutamente sì. Io ho grande fiducia nel pubblico italiano, che continua ad andare al cinema, nonostante tutto. Inoltre la capacità di essere comunicativi non è legata a questioni di budget; i nuovi media consentono anche a film a basso costo e a produzioni legate ad una scarsa disponibilità economica di allestire processi di comunicazione di grande efficacia, che si basano sul meccanismo di diffusione orizzontale delle informazioni proprio della rete. Il problema si pone piuttosto sul piano culturale, ed è legato ad una forma mentis ormai antiquata. (continua a pagina 4…)