venerdì, Aprile 19, 2024

Girl Model di David Redmon, Ashley Sabin (Usa, 2011)

Presentato al cinema Odeon di Firenze come appuntamento conclusivo della rassegna Odeon Real Cinema, Girl Model di Ashley Sabin e David Redmon vincitore al Festival del Film di Roma del premio come miglior documentario e del premio ENEL assegnato dal pubblico è stato introdotto da un intervento di Danilo Venturi docente, Master Teacher e Global Consultant presso Polimoda: «Quando si parla di modelle pensiamo a molteplici realtà: una di queste è la tipologia incarnata da Eva Herzigova che negli anni è diventata imprenditrice di se stessa o da Loulou de la Falaise, la storica musa di Yves Saint Laurent, entrambe incarnano l’aspetto romantico di questo mestiere nel quale tutte le donne amano identificarsi. C’è poi un versante più prettamente polemico che associa questa professione all’anoressia, allo sfruttamento di lavoro minorile e ad una vita sregolata che viene molto criticato. Celebre a questo proposito l’aspra affermazione di Karl Lagarfeld a difesa della categoria: Ci sono delle grasse mummuie che si siedono sul divano davanti al televisore con un pacchetto di patatine fritte e che dicono che le modelle magre sono brutte. Un altro aspetto da considerare è quello dell’identità di una modella contrapposta all’anonimato: spesso per gli addetti ai lavori le modelle sono poco più che grucce che camminano. Negli anni 80 le vere star erano gli stilisti e le modelle erano ancora meno considerate, il riscatto per loro è arrivato negli anni 90 quando sono diventate vere e proprie dive. Il film di questa sera parla del mercato delle modelle e della sua natura glocale (locale e globale) poiché si vedono ragazze giovanissime che, selezionate da degli scout in Siberia, vengono spedite in Giappone ovvero dall’altra parte del mondo rispetto al loro paese natale. Girl Model porta a riflettere sull’identità di queste ragazze e se ciò che accade loro sia determinato da un responsabile.»

Centinaia di adolescenti in bikini e tacchi alti affollano le palestre di una piccola comunità rurale siberiana; corpi bianchi e sottili a perdita d’occhio che aspettano di essere schedati e selezionati da Ashley una model-scout che lavora per un’agenzia che propone modelle per il mercato giapponese. Ashley le scruta e comunica con loro per mezzo di un’interprete: «Hai troppi brufoli» dice ad una ragazzina che si scusa: «è una cosa passeggera, ho le mestruazioni». Un’altra ragazzina sfila in perizoma, dice di avere 16 anni: «Ne dimostra almeno 25, questo è un problema!».

«Per essere una modella occorrono grazie, spigliatezza e dei bei modi» spiega Ashley, «per queste selezioni devo lasciare da parte quello che è il mio gusto personale. Sto cercando ragazze da lanciare sul mercato giapponese che richiede modelle che sembrino il più giovani possibile». È Nadya, 13 anni, a vincere le selezioni, la coroncina (un pettinino di plastica per capelli) e il contratto che la farà andare per 2 mesi in Giappone per sottoporsi ad una serie di casting con la sola promessa di 2 photo-shooting. Nadya abita con la famiglia in una casa piuttosto fatiscente, intorno baracche, animali e legnami accatastati. È esile e alta, vorrebbe arricciare i lunghi capelli biondi per la serata in cui verrà premiata ma ne lei ne la madre sanno usare l’arricciacapelli: «lavali con lo sciampo e spazzolali, sei carina lo stesso» le consiglia sua mamma. «Io sono una ragazza di campagna e fino alle scuole medie sono sempre passata inosservata, ora sento di volere di più dalla vita.» racconta Nadya mentre raccoglie della frutta nel piccolo orto che cura sua nonna per preparare un dolce per la sua festa prima della partenza «la bellezza sta nella natura» sorride.
Nel frattempo Ashley attraversa la Russia sulla linea ferroviaria della transiberiana per fare altro scouting. Si vede che è stata una modella anche lei, è alta e molto magra, graziosa ma con gli occhi di ghiaccio. Ha circa 30 anni ma sembra fiorita e sciatta. Nygam, il capo dell’agenzia per cui lavora segue una sua bizzarra logica: è convinto di dover espiare una colpa commessa in una vita passata e considera il fatto stesso di dare un’opportunità a queste ragazze una questione religiosa. Anche Ashley è stata in Giappone per lavorare come modella nel 1999 e basta poco per capire che è stato un bruttissimo periodo, è lei stessa a raccontarlo, anche con dei filmati che aveva girato all’epoca: «Sono 15 anni che sono in questo business. Resto in un campo che conosco malgrado non mi piaccia perché ho paura delle cose nuove». Intanto Nadya arriva a Tokyo e si deve confrontare con una realtà molto dura: non parla una parola di inglese ne tantomeno di giapponese, l’agenzia l’ha sistemata in una stanza squallida con un bagno, un angolo cottura e un letto a castello dove dorme con Madlen, un’altra giovanissima aspirante modella. Insieme vanno ai casting ma giorno dopo giorno, settimana dopo settimana non succede niente, non vengono scelte e non lavorano. I soldi per comprare qualcosa da mangiare sono pochi ma per fortuna Madlen ha un cellulare e Nadya può parlare con sua mamma alla quale dice fra le lacrime che vuole tornare a casa. Nel loro contratto con l’agenzia c’è una clausola che prevede il rimpatrio se aumentano di una taglia; Madlen non si lascia sfuggire l’occasione e rientra in Russia con 2 cm in più di adipe e un debito con l’agenzia di 2000 dollari. Rimasta sola Nadya riesce a fare un photo-shooting e qualche altra foto, ma non viene pagata e non sa dove i suoi servizi saranno pubblicati, poi in una libreria sfogliano una rivista finalmente vede una sua foto nella quale indossa una parrucca nera. Poco tempo dopo anche la sua avventura giapponese si conclude, senza un guadagno.

Qualche giorno fa Bar Refaeli, bellissima modella israeliana ex compagna di Leonardo Di Caprio famosa per le sue campagne in lingerie ha scritto sul suo profilo twitter: «So i’ve got twitter, Instagram, Pinterest & The Fancy account… All I need is a life». Viene da chiedersi se non sia davvero così. Ci sono moltissime modelle su twitter, anche tra le più famose e pagate del momento: Elisa Sednaoui, Bianca Balti, Eva Riccobono, Doutzen Krouse e moltissime altre e tutte scrivono raccontando dei loro viaggi, delle campagne, degli aerei presi e di quanto sia fastidioso il jet-lag. Sono tutte genuinamente ansiose di sembrare ragazze qualunque; postano foto di animaletti, bambini, autoritratti mentre fanno le smorfie allo specchio senza trucco e immagini di back-stage. Non sembrano passarsela male, piuttosto sembrano sole. Sempre Bar Refaeli lo scorso 16 marzo chiedeva ai suoi followers consigli su un bel film da guardare collezionando 18 retweet, 8 stelle e nessuna risposta. Che il lavoro di una modella fosse fatto di solitudine lo aveva affermato anche Carla Bruni che in un’intervista di qualche anno fa nella quale raccontava di come avesse perfezionato lo studio della chitarra durante noiose e solitarie nottate in anonimi alberghi di lusso. Ma Girl Model non parla di Bar Refaeli ne tantomeno di Carla Bruni. Il documentario di Sabin e Redmon racconta la storia di ragazze, young girls come ripete spessissimo la scout nel descrivere ciò che cerca, alle quali la bellezza sembrerebbe offrire un’opportunità che si rivela nella realtà ancora più desolante se possibile di quello che si lasciano alle spalle. Lungi dall’essere un documentario di denuncia sul malcostume del mondo della moda legato a stereotipi abusati come l’anoressia o il consumo di cocaina il film insiste sull’assenza di un canone di bellezza classico nella selezione delle modelle destinate a questa particolare fetta di mercato, quello giapponese appunto, nel quale ciò che interessa non è quanto una ragazza possa essere effettivamente graziosa, ma quanto sembri giovane. Un’opera che racconta qualcosa che forse non avremmo forse voluto sapere, ma sul quale non possiamo fare a meno di riflettere. La storia di Nadya, della quale veniamo a sapere da una nota alla fine del film che ha lasciato le scuole medie per continuare a tentare la fortuna in paesi orientali, ricorda in più di un’occasione quella della protagonista di Lilya 4ever dello svedese Lukas Moodysson, drammatica denuncia sulla condizione di una ragazzina dell’est in fuga. Il merito di Girl Model è soprattutto quello di aver spogliato il racconto da qualsiasi elemento decorativo, esasperando talvolta alcuni aspetti, senza proporsi però di voler cercare un colpevole a tutti i costi. Le figure degli scout e degli agenti sono ancora più penose di quelle delle ragazze. È sicuramente Ashley il personaggio più straziante poiché su di lei si vedono gli effetti di una vita che le ha creato dei problemi. Vorrebbe avere a cuore il destino delle ragazze che seleziona ma non ci riesce. Vorrebbe avere un bambino suo, ma ha problemi di salute e non riconosce il suo corpo, con il quale è riuscita a guadagnare in passato, ma che non fa il suo lavoro. Dopo un intervento chirurgico per l’asportazione di una cisti e un fibroma dal suo letto d’ospedale rivendica in modo disconnesso e confuso il desiderio di maternità e di un corpo che funzioni, ma dal di dentro: «Vorrei un figlio mio, potrei portarlo con me nei miei viaggi in Russia. Io sono nata per essere madre, sono nata con questi organi».

 

 

 

 

Redazione IE Cinema
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