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Kavafis di Yannis Smaragdìs: In ricordo di Konstantinos P. Kavafis

Ottanta anni fa, il 29 aprile del 1933, moriva ad Alessandria d’Egitto Konstantinos P. Kavafis, uno dei maggiori poeti greci moderni, oggi considerato fra i grandi della poesia del ‘900, in occasione della ricorrenza e a 150 anni dalla nascita dello stesso (29 Aprile del 1863), l’Ateneo Veneto, in collaborazione con il consolato di Grecia a Venezia, L’università Ca’ Foscari, il dipartimento Studi Umanistici insieme al patrocinio del Ministero della Cultura della Repubblica Greca, ha proposto al pubblico la proiezione del film Kavafis di Yannis Smaragdìs (Grecia, 1996).
L’introduzione alla figura e alla poesia di Kavafis è stata condotta dalla prof.ssa Caterina Carpinato, docente di lingua e letteratura neogreca a Ca’ Foscari.
154 poesie, è tutto quello che Kavafis ci ha lasciato, nulla che abbia pubblicato lui, quei fogli, quasi incisi dal pennino intinto nell’inchiostro, passati dalle sue mani a quelle di qualche discepolo o amante, sono arrivati fino a noi, la lingua è quella greca, per scelta e per amore.
In famiglia si parlava inglese, un ricco nucleo di commercianti alessandrini originari di Istanbul sul finire dell’ ‘800, quindi il tracollo economico, dopo un’infanzia dorata, nel ’76, e la lunga permanenza altrove, Liverpool, Londra, Istanbul. Ma Alessandria fu la sua patria, in via Lepsius 10, da dove non si mosse dal 1907 fino alla morte:  Casa, ritrovi, il mio quartiere: ambiente | ch’io vedo, e dove giro: anni dopo anni. | Io t’ho creato nella gioia e nei dolori: | con tanti eventi e tante, tante cose. | E tanto sentimento ti sei fatto, per me.
Nessuno stupore, per vivere fece l’impiegato al servizio irrigazioni del Ministero dei Lavori Pubblici, fu anche agente di cambio, perchè la vita dei poeti non è quasi mai lastricata d’oro e di gloria. Una vita appartata quella di Kavafis, con i suoi fantasmi e i suoi libri, i suoi amori, un’omosessualità vissuta con ebbra sensualità e traumatica sofferenza.
Lettore appassionato di Baudelaire, intriso dei bagliori al tramonto della cultura bizantina, ha detto tutto di sé in quelle 154 poesie, versi che raccontano di lui, uomo sul limite di un passaggio di civiltà.
La splendida Alessandria ellenistica attraversata da una legge di caducità inesorabile, mentre volge all’Islam il suo destino e il taglio di Suez ne decreta la marginalità economica, è il centro della sua vita di uomo e poeta. Kavafis vive in un presente fuori del tempo, nella circolare dimensione mitica dove risiede il luogo dello spirito, la regione della nostra mente; la sostanza iconica del mito e la storia del passato, vista con gli occhi del presente, diventano in lui parola che convince, luce della notte. Come per Platone, nella materia mitica il presente recupera “gli accadimenti straordinari avvenuti in passato e che capiteranno ancora”.
Il suo fu anche un impegno civile che travalicò i confini ristretti posti dalle ragioni del presente, leggere oggi Aspettando i barbari o Termopili è far leva sulla qualità individuale e collettiva di un tempo che è il nostro, una sorta di profezia scarnificata dalle situazioni di partenza, che continua a lavorare nei secoli:

Onore a quanti, nella vita,
 | decisero difesa di Termopile. | Mai dal loro dovere essi recedono; | in ogni azione equilibrati e giusti, | con dolore, peraltro, e compassione; | se ricchi, generosi; anche nel poco | generosi, se poveri;solerti | a soccorrere gli altri più che possono, | capaci solo della verità, |senza neppure odiare i mentitori | E di più grande onore sono degni | se prevedono (e molti lo prevedono) |che spunterà da ultimo un Efialte |e i Persiani, alla fine, passeranno. (1903, dalle traduzuini di F. M. Pontani)

Kavafis di Yannis Smaragdìs è un biopic dal sapore tutto particolare. Prodotto in Grecia in lingua greca, non è stato mai doppiato né fornito di sottotitoli. Certo ha viaggiato poco, come Kavafis, ma, come i poeti greci di un tempo, parla con la poesia, e come gli scultori dei fregi nei templi, parla per immagini.
Il pubblico segue fino alla fine senza stanchezza, catturato dal suono e dai colori che colgono la storia interiore dell’uomo che parla solo con i suoi versi, mentre scorrono quadri di epoca bizantina o ellenistico – romana, scorci dell’Alessandria dionisiaca e cosmopolita delle taverne malfamate o quella apollinea dei grandi Musei, dove alla bellezza purissima delle statue di Antinoo, l’efèbo amato da Adriano, si sovrappone la bellezza sensuale dei corpi amati da Kavafis.
Una lunga serie di flashback parte dal suo letto di morente in un ospedale di Alessandria d’Egitto per tornare all’infanzia, al ricordo dolce e dolente della madre, alla precoce scoperta di un’omosessualità che sembra, anch’essa, riunirlo a quel mondo tanto amato dei simposi ateniesi, dove l’amore era iniziazione al bello e all’arte, al senso pieno della vita. Alessandria, Atene e Costantinopoli sono le quinte di fondo di una vita chiusa fra pensieri angosciosi e slanci vitali, dove dominano passione e malinconia, sentimenti in cui Kavafis cristallizza il passato, quasi a esorcizzare il senso del tempo che passa.
L’amore e lo scorrere del tempo, la passione per la bellezza incarnata in corpi statuari e l’amarezza della perdita, del pentimento e della sconfitta, l’acuta nostalgia di un passato perduto e lo sforzo giornaliero di riappropriarsene col canto.
La storia di Kavafis, ultimo dei grandi greci che hanno segnato di luce la storia dell’uomo, si chiude lì, in quella stanzetta d’ospedale, di fronte a ‘l’irrevocabile sventura della morte”.
Un giovane discepolo raccoglie le sue ultime carte.

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