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La guerra è dichiarata di Valerie Donzelli

La reine des pommes, il primo lungometraggio di Valerie Donzelli prodotto nel 2009, collocava in una dimensione impalpabile i tormenti affettivi di Adele; seguendo una traiettoria incerta e ondivaga l’autrice Francese utilizzava le superfici della commedia e del musical per osservarne le increspature, le variazioni di tono e quelle coincidenze tra morte ed esorcismo ironico che accompagnavano l’incedere della protagonista in uno spazio ininterpretabile.

Un’anti Amelie Poulain Adele, la cui svagatezza è un sorprendersi disorientati nel processo di formazione di un linguaggio che la stacca progressivamente dal contesto, al contrario dell’eroina (tout court) di Jeunet, parte integrante di quella asfissiante retorica Cinema fatta di figurine di carta. La Donzelli continua da queste premesse e affronta con coraggio un lungo frammento di storia personale, coinvolgendo il compagno Jeremie Elkaïm come sceneggiatore e interprete, per ripercorrere il confronto durissimo con la malattia del figlio, aggredito da un grave tumore al cervello per i primi otto anni della sua infanzia.

La guerre est declaree oltrepassa più di un territorio di confine, assimilando in una reivenzione mnestica e anti enciclopedica schegge di cinema Francese che non annientano i corpi nel segno più superficiale della scrittura. Quella con-fusione tutta Truffautiana tra romanzo e memoria documentale, quella violenta intrusione della canzone popolare nella realtà tra Resnais e Demy, quel peregrinare Rohmeriano di Romeo e Juliette, è una progressiva fuoriuscita dei corpi dal racconto, dove un frammento di cinema viene annientato e sovrapposto dal successivo con un improvviso gesto di forza concretamente fisica e anarchica.

Sarebbe ridicolo ricorrere alla retorica analitica della citazione come sistema per disinnescare il lavoro della Donzelli, opera complessa e non riconciliata, capace di prendere più di una direzione e che cerca con tutte le forze di rendere insolubile l’enigma che connette e scambia continuamente di posizione, finzione e realtà.

Gabriel Elkaïm è l’unica ellisse percepibile, ma invece di chiudere il film, tra l’ultima risonanza magnetica e quella corsa verso il mare insieme ai genitori, indica una breccia nella metastasi psichica e visiva che la Donzelli sottopone ad un dominio attivo. La fotografia di Sébastien Buchmann sfrutta il più possibile luci naturali e il formato “portabile” della Canon 5d per avvicinarsi in modo flagrante alla libertà del gesto, scelta che per lo stesso Buchmann è allo stesso tempo un problema estetico, definito dalla diminuzione della profondità di campo e dalla possibilità di penetrare un ambiente difficile come quello ospedaliero; ed etico, si,  con quell’avvicinamento estremo e radicale dell’immagine tra pre-produzione e post-produzione, una riduzione progressiva della massa ipertrofica e tumorale dell’immagine, in quel movimento rovesciato dell’occhio che si sposta tra visione e palpebra, verità e memoria.
Il Dvd, usicto a Marzo per Cg Home Video, con marchio Sacher (che distribuiva il film nelle sale) ha una resa standard di buona qualità, senza grossi difetti di compressione e con qualche problema di contrasto nelle scene più scure. Ottima la sezione audio 5.1, sia per la versione italiana che per quella francese. Extra ridotti al minimo sindacale con il solo trailer e una foto galleria.

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