giovedì, Ottobre 10, 2024

Pinocchio di Enzo D’Alò

L’orizzonte d’attesa delle animazioni di Enzo D’Alò è facilmente tracciabile: storie godibili e genuine, che secernono un inconfondibile didascalismo. Cartoni animati nell’accezione più pura: film che proteggono gli spettatori più piccoli dalle loro paure più intime ed estraniano gli adulti dall’inesorabile scorrere del tempo. La forte riconoscibilità delle produzioni di D’Alò non riguarda soltanto l’originalità dei soggetti scelti, ma anche e soprattutto il segno adottato dai disegnatori: da una parte si hanno le meravigliose storie della letteratura per ragazzi (da Rodari a Sepulveda), dall’altra metodi di rappresentazione classica la cui forza sta proprio nell’intelligibilità delle forme tradizionali. Pinocchio, il film che Enzo D’Alò aveva già presentato in anteprima allo scorso festival di Venezia nella sezione autonoma delle Giornate degli Autori, è un progetto che il regista napoletano teneva nel cassetto da più di dieci anni. Il motivo dei ritardi non era di certo in fase realizzativa, semmai produttiva: era il 2002 quando usciva nelle sale il tanto vituperato Pinocchio di Benigni e il cartone di D’Alò avrebbe così rischiato di non trovare canali di distribuzione adeguati. Proprio rispetto al lavoro di Benigni è interessante raffrontare quest’ultimo Pinocchio animato: prendendo le distanze dal rimaneggiatissimo classico Disney, sia Benigni che D’Alò hanno invece ripreso il testo di Collodi, rifacendosi forse al famoso sceneggiato televisivo diretto da Comencini nel 1972. Ne consegue che il plot non subisce tagli sostanziali, ed anzi risponde piuttosto fedelmente all’originale. Se però Benigni ebbe a disposizione quasi due ore per cadenzare le avventure del suo burattino (ed erano comunque pochi), i 78 minuti di D’Alò sono un margine francamente esiguo per una vicenda lineare, ma pur sempre variegata. Il senso che le singole parti si sleghino ritmicamente per rispondere ad esigenze procedurali accompagna tutto l’arco del film ed è probabilmente lo scotto che si deve pagare quando ci si confronta con capolavori senza tempo. Ciò nonostante Pinocchio scorre piacevolmente, anche grazie ad alcune felici intuizioni di regia. Se in apertura è stato osservato come la riconoscibilità delle forme sia un tratto distintivo dei film di D’Alò, è anche vero che i realizzatori di Pinocchio si sono lasciati influenzare dai tanti esperimenti ispirati alla fiaba di Collodi: l’uso frequente di sovraimpressioni e sfondi irregolari richiama le serigrafie di Luzzati e – più vagamente – la tecnica mista di Toccafondo. Altro grande punto di forza di Pinocchio è la colonna sonora, curata da Lucio Dalla fino alla prematura scomparsa: le composizioni, intrise di quella giocosa sensibilità che ha caratterizzato l’intera produzione di Dalla, rappresentano un commento preciso, rapido e mai invasivo che si fonde con l’immagine.

Davide Minotti
Davide Minotti
Davide Minotti nasce a Frosinone nel 1989. Dopo un'esperienza alla John Cabot University di Roma, si occupa ora di Germanistica e Scandinavistica tra l'Università degli Studi di Firenze e la Rheinische-Friedrich-Wilhelms-Universität di Bonn, dove vive. Appassionato di letteratura e cinema, spera che un giorno questi interessi possano diventare qualcosa di più concreto. Nel frattempo scrive e progetta cortometraggi nel perenne tentativo di realizzarli.

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