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Romanzo di una strage: la verità esiste e non dobbiamo mai smettere di cercarla

Esce oggi nelle sale Romanzo di una strage l’ultima fatica di Marco Tullio Giordana che porta per la prima volta sul grande schermo i tragici eventi legati a quella che fu la sanguinaria strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Abbiamo incontrato il regista,gli sceneggiatori (Sandro Petraglia e Stefano Rulli) e il cast al completo, tra cui Pierfrancesco Favino, Valerio Mastandrea,Fabrizio Gifuni, Michela Cescon,Laura Chiatti, Luigi Lo Cascio e  Giorgio Colangeli.

 

Come mai ha scelto di chiamare “Romanzo di una strage” un film che narra eventi storici?

Marco Tullio Giordana:

Volevo richiamare alla memoria un bellissimo intervento che Pier Paolo Pasolini fece sul Corriere della Sera il 14 novembre 1974, un anno prima di venire assassinato e a seguito delle diverse stragi che avevano colpito il nostro paese. Al tempo quell’articolo sembrò una delle consuete acrobazie dell’intelligenza pasoliniana, una rappresentazione paradossale senza un’effettiva attinenza coi fatti reali. In realtà – e le scoperte successive ne confermeranno ogni virgola – è un’analisi che coglie perfettamente non solo quello che sta succedendo nel Paese ma ne racconta il “senso”, quello che Pasolini chiama “romanzo”, il romanzo delle stragi italiane. Questo articolo si concludeva con l’impossibilità di denunciare senza prove concrete, fidandosi soltanto della propria intelligenza. Egli scriveva “Io so,ma non ho le prove”.  Oggi, a 40 anni di distanza, queste prove sono diventate finalmente accessibili, a disposizione di chiunque voglia davvero sapere. E’ arrivato il momento di raccontarle, di tirarle fuori. Ho scelto di mantenere fede al titolo di quell’articolo poiché Pasolini in quell’occasione non si limitò a raccontare la tragedia, ma riuscì a parlare delle vittime non come dei numeri ma come delle persone. Se questo film ha visto la luce devo ringraziare il produttore Riccardo Tozzi, che mi ha permesso di realizzarlo in totale libertà. Invito a vederlo soprattutto i ragazzi più giovani che non conoscono nulla dei fatti accaduti.

In che modo avete costruito la sceneggiatura? Quanto c’è di vero e quanto di romanzato?

Stefano Rulli:

Non è stato affatto semplice ricostruire i dialoghi, essendovi molteplici verità sovrapposte e questo ha creato non poche difficoltà al nostro lavoro. Per avvicinarci il più possibile alla realtà ci siamo serviti di una ricca e ampia documentazione, in primis il romanzo di Paolo Cucchiarelli (Il segreto di Piazza Fontana) e anche altre fonti come per esempio il libro di Fulvio Bellini che riporta alcune informazioni prese da documenti inglesi dell’epoca.

Sandro Petraglia:

La scena di Saragat e Moro è tratta dal libro di Bellini, che riporta una versione dei servizi segreti inglesi, all’epoca molto attenti alla figura del Presidente. La teoria della bombe è invece approfondita nel libro di Paolo Cucchiarelli, che documenta il fatto che le bombe fossero due così come le numerose perizie balistiche apparse sui giornali in quel periodo.

 

Voi attori cosa conoscevate della storia? Come vi siete avvicinati ai vostri personaggi?

Pierfrancesco Favino:

Conoscevo la vicenda di Giuseppe Pinelli e gli eventi di Piazza Fontana per passione di lettura. In generale sono attratto dalle storie che hanno a che fare con la giustizia e l’ingiustizia. Mi sento molto toccato dalla vicenda di questa persona e soprattutto ho avuto la fortuna di essere bene accolto insieme a Michela (n.d.r. Cescon) in casa Pinelli,di guardare in faccia sua moglie, le sue figlie. Mi sono domandato, riguardo al personaggio, cosa sarebbe accaduto se quel giorno gli fosse andato in panne il motorino e non fosse mai arrivato al commissariato oppure se semplicemente avesse cambiato idea decidendo di non salire quelle scale da cui non sarebbe più tornato indietro. Tuttavia ho cercato di renderlo più sanguigno senza santificarlo (nella realtà lui balbettava, ma questa connotazione avrebbe sminuito la sua forza, pertanto abbiamo deciso insieme a Marco di non considerarla). Intepretarlo mi ha lasciato l’orgoglio di aver conosciuto la sua famiglia e l’importanza di far parte di un progetto di ricerca della verità, perché la verità esiste e non dobbiamo mai smettere di cercarla.

Valerio Mastandrea:

Io, invece, ho preferito non incontrare i famigliari di Luigi Calabresi, da una parte per pudore, dall’altra per non essere influenzato. Personalmente sento la strage di Piazza Fontana molto vicina,in realtà non è vicino l’episodio in sé, bensì il senso di impunità che ci ha lasciato. Il lavoro su questo personaggio è stato molto complesso e non è finito con la fine del film, non è un lavoro prettamente tecnico, per cui va avanti e sicuramente è stato la sfida più difficile della mia carriera.

Fabrizio Gifuni:

Ho studiato a lungo il personaggio di Aldo Moro , anche per alcuni miei progetti teatrali da attore e da drammaturgo. Generalmente quando interpreto un personaggio tendo a vivere in uno stato monacale nei giorni delle riprese, stavolta ho fatto esattamente l’opposto. La prima scena, in cui compare Moro, la confessione, è invenzione straordinaria degli sceneggiatori, mentre il resto è ampiamente documentato. Su Moro c’è una sterminata quantità di materiale su cui un attore può lavorare; tra l’altro i costumi che ho indossato sono stati realizzati dallo stesso sarto che ha confezionato le camicie di Moro e questo mi ha aiutato ancora di più ad immedesimarmi nel personaggio.

 

Come mai il cinema italiano ha dovuto aspettare 43 anni prima di occuparsi della strage di Piazza Fontana?

Marco Tullio Giordana:

Provo a rispondere personalmente e non a nome del cinema italiano. Io non sarei stato in grado di farlo prima: ho dovuto liberarmi di molte impressioni e pregiudizi  preventivi a proposito. Su Piazza Fontana, all’epoca, è stato fatto un lavoro di depistaggio incredibile; fu straordinaria la figura di Marco Nozza, un cronista de Il Giorno. Lui (interpretato nel film da Thomas Trabacchi) sintetizza la figura del vero giornalista alla ricerca della vera informazione (e come lui ve ne erano all’epoca altri 4 o 5  senza i quali non avremmo approfondito tanti aspetti). Ho dovuto aspettare anche una certa maturità artistica che mi ha conferito la capacità shakespeariana di mettermi nei panni di tutti i personaggi; è stato proprio Pasolini ad insegnarmi ad acquisire la libertà del punto di vista, che non significa rinunciare ad un proprio giudizio, bensì formularlo soltanto dopo aver percorso tutte le tappe possibili.

 

 

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