venerdì, Marzo 29, 2024

Tutti i nostri desideri di Philippe Lioret (Francia, 2011)

Tutti i nostri desideri è un percorso parallelo tra storie di individui che il caso riunisce e la morte separa e di problematiche sociali. Ci sono due cancri in questo film: il primo è il raggiro legalizzato esercitato dagli istituti di credito (le vere condizioni sui prestiti, quando non sono totalmente assenti, sono scritte in corpo 5, a piè di pagina della brochure pubblicitaria), il secondo è quello che procede implacabile dentro il cervello di Claire, spegnendola lentamente giorno dopo giorno. Tutto comincia quando Cèline, ragazza madre disoccupata, caduta nel gorgo degli enti creditizi, incontra la sensibilità di Claire, che decide di aiutarla ricorrendo alle vie legali. A dare man forte a quest’ultima nell’impresa ci sarà Vincent, idealista ormai sull’orlo del disincanto, che per merito della tenacia di Claire ritroverà la fiducia di un tempo, quando pensava che «i deboli andassero difesi». E’ la nascita di un grande rapporto di solidarietà e amicizia. Lioret, ugualmente a quanto espresso nell’eccellente Welcome (2009), con Toutes Nos Envies (“Tutti i nostri desideri”) presenta un neoumanesimo basato sull’assunto che soltanto la forza dei rapporti fra gli individui possa creare in loro nuove spinte motivazionali. Dalla critica socio-politica – «il credito è il consumo e il consumo è il sistema» – si passa al tema, di jaspersiana memoria, dell’amicizia come unico trattamento terapeutico in grado di alleviare le pene di una morte annunciata. Il calvario di Claire, che tace il suo glioblastoma cerebrale con i famigliari, viene «ammortizzato» dalla presenza di Vincent, il primo a cui, indirettamente, la ragazza confesserà di avere una malattia terminale. La causa contro gli istituti di credito a cui Claire tiene molto, dunque, diventerà per Vincent una missione con un valore aggiunto: realizzare il sogno di una ragazza che a soli 32 anni sarà strappata all’esistenza.La scrittura di Lioret è granitica, la sua puntualità nel dettaglio è esemplare. Prende tempo per studiare accuratamente i personaggi e costruisce un circuito empatico di rara intensità, dove s’incrociano le dinamiche più profonde della «comprensione» (non del «capire» che è cosa che riguarda solo la ragione), ovvero della partecipazione alla condizione esistenziale dell’altro, al suo modo di stare al mondo. Essenziale l’apporto del cast per la riuscita della pellicola, a partire dall’attore feticcio del regista, Vincent Lindon, qui meno burbero del solito, fino all’intensa Marie Gillain alle prese con una parte davvero difficile.

Diego Baratto
Diego Baratto
Diego Baratto ha studiato filosofia all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Si è laureato con una tesi sulla concezione del divino nella “Trilogia del silenzio di Dio” di Ingmar Bergman. Da sempre interessato agli autori europei e americani, segue inoltre da vario tempo il cinema di Hong Kong e Giappone. Dal 2009 collabora con diverse riviste on-line e cartacee di critica cinematografica. Parallelamente scrive soggetti e sceneggiature.

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