Home festivalcinema 36 vues du Pic Saint-Loup di Jacques Rivette – Venezia 66

36 vues du Pic Saint-Loup di Jacques Rivette – Venezia 66

Quando Jane Birkin in uno dei 36 punti di vista Rivettiani torna al suo lavoro Parigino portando con se i tessuti che ha colorato in un’arena teatrale scolpita in mezzo alla natura, si trova a dover confrontare il colore ottenuto con il catalogo Pantone non trovando nessuna corrispondenza. La luce non è la stessa perché privata della mutazione dell’esperienza.

Jacques Rivette torna al circo trasformandolo in un viaggio senza fine tra lo spazio teatrale e la mobilità dello sguardo; ingressi e uscite dal mondo rigenerato, tutte le volte entro confini aperti e inafferrabili. Il cinema di Rivette è anche in questo interstizio materializzato dal gioco performativo, uno spazio curvo e iperbolico che sfugge a qualsiasi riduzione ermeneutica. Sergio Castellitto, che qui produce insieme a Margaret Mazzantini e alla loro Alien Film, è un osservatore mobile, la cui instabilità trapassa il tempo con una forza psicometrica. Sfiora ricordi e oggetti del passato e li rende attivi in uno spazio presente.

Come Céline e Julie in una delle esperienze Rivettiane più belle, il labirinto del tempo si rivela nella sua complessa stratificazione attraverso gesti e fratture teatrali che non temono di mostrarsi nello spazio in tutta la loro incongruità e inverosimiglianza e che amplificano il gesto anarchico e generativo del gioco.

In 36 vues du Pic Saint-Loup la clownerie, il funambolismo, lo spazio solitario dello spettatore, gli oggetti del divertimento performativo, i numeri che si ripetono sempre uguali e diversi, cancellano tutte le suture tra realtà e illusione e aprono la porta alla dissoluzione del ruolo. Sergio Castellitto è spettatore casuale di un circo disgregato e allo stesso tempo tenuto in piedi da uno spettacolo che si inabissa nel passato. Costituito da maschere confuse con la fissità dei pochi spettatori che frequentano il piccolo tendone si apre alla vita intrecciata con l’ir-realtà della morte assumendo di volta in volta tratti irriconoscibili, avvicinandosi alla verità oppure mostrandone un volto falsificante.

Da osservatore privilegiato Castellitto pretende di concepire la regia di un numero che nella sua riproposizione dovrebbe condurre traumaticamente il passato di Jane Birkin in uno spazio presente; il luogo esorcistico è quello dell’arena rappresentativa, ma la regia non può essere condotta senza perdita di controllo e soprattutto senza la perdita di quelli stessi confini teatrali, gli attori che si presteranno alla re-visione del tempo chiedono all’osservatore di inabissare se stesso in un numero che sono stati costretti a sospendere per la morte di un attore.

In questa sarabanda funambolica del punto di vista il dominio della narrazione non conduce mai dove si vorrebbe; la scrittura Rivettiana ancora una volta si dispiega come un’esperienza altissima di Cinema; il dispositivo invece di bloccare tutti gli ingressi si squama, non si cicatrizza, ferisce proprio quando immaginario e vita non trovano conciliazione.

 

 

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