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Venezia 66: Bad Lieutenant: port of call new orleans di Werner Herzog (Usa 2009)

nicolas-cageNon cerca redenzione Terence McDonagh, come un animale in lotta per la sopravvivenza non è preoccupato di risalire dall’inferno, l’unico che conosce è quello umano, una galleria di mostri impegnati in una pantomima della brutalità bestiale. Werner Herzog ha filmato personalmente i footage visionari e selvaggi dall’occhio dell’Alligatore, cosi come per le sorprendenti soggettive delle due Iguane, l’occhio è il suo, visione allucinata di un Nicolas Cage gravido di stupefacenti oppure sogno di un mondo anfibio che minaccia e scardina, anche percettivamente, tutto  l’andamento del film. Serpenti d’acqua, alligatori, Iguane, pesci imprigionati in un acquario, la terra capovolta dopo l’uragano Katrina. E’ un film portentoso Bad Lieutenant: Port of Call New Orleans, titanico come altre imprese Herzoghiane nel suo deambulare ribelle entro l’involucro del genere, tanto da renderlo una performance multiforme, un’esperienza sciamanica, una ricerca visionaria, un gioco crudele, poetico ed esilarante. Un calcio nei testicoli a tutta la stampa beneducata avida di collocazioni ben precise e preoccupata perdere le coordinate; i consueti fraintendimenti della forma sognati dai cinefili. Il sogno è altrove e perfora il meccanismo della messa in scena con uno slittamento del senso talmente radicale da concretizzare e distruggere il suo oggetto più di una volta,  Herzog sfida qualsiasi spettatore anestetizzato possedendo il corpo di Nicolas Cage e scagliando la sua postura sghemba e monolitica in una performance di follia attoriale fisica, fuori controllo, vicina per certi versi al Cassavetes più sconquassato, quello di Big Trouble, puntando dritto alla forma più selvaggia del cuore. Intorno a Cage si muove una galleria di volti estremi, orribili, facce dello stesso inferno guidate solo dai bisogni più luridi, si servono delle regole per appropriarsi del caos, avvicinandosi paradossalmente alla vita più limpidamente nera della natura; più volte Nicolas Cage ripeterà un’idea del tutto Herzoghiana nei momenti in cui si trova a compiere gesti di improvvisa generosità: “La verità, è che non me ne fregava un cazzo di salvarti!” Herzog ha girato il suo Cattivo Tenente in pochissimi giorni servendosi di una sceneggiatura scritta da William M. Finkelstein, autore e produttore prevalentemente televisivo (NYPD Bue, Law and Order) e sfruttando un terreno episodico per dilatare al massimo il tempo e lo spazio in una deriva degli aspetti performativi; sembra di assistere ad un incedere meno riconoscibile rispetto alla forma estenuante, alle durate fluviali, alle sfide spinte ai limiti della natura visibile, ma come si diceva quella messa in atto dal regista tedesco è un’operazione selvaggia e radicale per certi versi iconoclasta e cinica nei confronti del suo stesso cinema, ma genuinamente Herzoghiana in quello sfaldamento della narrazione inabissato nello sguardo senza risposte morali che è il viaggio tra esperienza e sogno.

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