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El Cristo Ciego di Christopher Murray – Venezia 73 – Concorso: la recensione

Il “locus theologicus” per comprendere verità e prassi cristiane, sono gli oppressi. La cristologia di John Sorbino e il percorso del suo “cristo liberatore” non sono così distanti dalle intenzioni di Christopher Murray, il regista cileno giunto alla sua terza opera, dopo Manuel de Ribera, con il quale “El cristo Ciego” condivide l’esplorazione di un territorio desertico.
Entrambi i personaggi dei suoi film partono da una prospettiva negativa per approdare ad una più complessa visione del mondo.
Michael ha una rivelazione e assume su di se il peso della crocifissione. Avverso alla fede popolare legata alla venerazione delle immagini, condurrà un amico invalido lungo il deserto, per compiere un miracolo e incontrare la popolazione derelitta della Pampa del Tamarugal.
Lo sguardo cieco e senza fede di Murray è lo stesso di Michael, credere diventa un atto della volontà, un tentativo di colmare il vuoto del deserto per sanare i conflitti sociali che hanno messo in ginocchio buona parte del globo. La rivelazione è allora del tutto immanente e può indicare una via per l’unificazione dei popoli, attraverso l’ascolto diretto delle loro storie.
Michael Silva, l’unico attore professionista, viene circondato dalle testimonianze quotidiane di alcuni abitanti del deserto, coinvolti da Murray nella lavorazione, accogliendo di fatto una spaccatura nel suo film, tra narrazione e documento, come se la prima fosse un vero e proprio atto di rifondazione della realtà.
Spiace dire, al di là delle intenzioni e dell’apparente rigore con il quale Murray si avvicina ai corpi e alle voci della sua terra, che una visione del genere si porta dietro tutta la pesantissima retorica autoriale che toglie qualsiasi mistero all’immagine, scarnificazione senza fuori campo, sguardo vitreo sul dolore, senza alcun tentativo (e potremmo dire senza il coraggio…) di sfiorare quindi le contraddizioni della fede come atto che promana da una deliberata allucinazione. “Per chi ha fede – diceva Franz Werfel con una frase che è anche una possibile definizione dell’atto del vedere – nessun miracolo è necessario, per chi non ha fede nessun miracolo è sufficiente”.

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