Il finlandese Aleksi Perälä è una figura emblematica nell’ambito dell’elettronica avanzata e della microtonalità sperimentale. Dopo aver operato per decenni al confine tra musica ambient, techno, breakbeat e ricerca sonora, ha sviluppato una relazione stretta con il concetto di Colundi Sequence, un sistema di frequenze proprie che spezza le consuete suddivisioni temperate occidentali.
All’interno della Biennale Musica, l’opera GRACE allestita il 17 ottobre presso il Teatro Alle Tese si è rivelata come una delle esperienze più radicali della stagione; un ponte tra sistemi sonori occidentali e orientali, tra rigore matematico e percezione estatica.
I fondamenti del Colundi, elaborati e perfezionati nella cornice dell’esperienza con la Rephlex Records di Aphex Twin e Grant Wilson-Claridge, definiscono un sistema concepito come scala alternativa costruita su frequenze “naturali”, tanto da spingere la ricerca di Perälä verso l’esplorazione di stati percettivi.
La sua musica non si limita a modulare beat e melodie, ma costruisce veri e propri ambienti cognitivi, dove armonia e matematica convivono in un equilibrio straniante.
GRACE è l’evoluzione naturale di questa ricerca: un ciclo di album pubblicati nel corso del 2025, vero e proprio ecosistema sonoro che trova nella dimensione live il suo completamento. I numerosi capitoli del ciclo rappresentano un’esplorazione profonda delle possibilità espressive offerte dalla sintesi additiva e dalle frequenze alternative, ogni capitolo è stato concepito come un’esperienza sensoriale unica, utilizzando strumenti come il Moog Subharmonicon, il Yamaha RY-30 e il Roland TR-06, insieme a frequenze specifiche derivate dalla sequenza di Fibonacci. Questa attenzione ai dettagli tecnici si riflette nella qualità sonora e nella coerenza stilistica di ogni traccia.
Il sistema e le strutture matematiche che lo sottendono (φ, π, Fibonacci, Pingala), non viene applicato in modo vincolante, ma attraverso l’accesso a forme di ascolto più profonde che possono essere esperite mediante attraversamento, rivelandosi difficili da spiegare e descrivere lungo i 180 minuti dell’evento.
L’enorme corpus sonoro di GRACE non viene riproposto, ma rielaborato in una cornice più sintetica attraverso un vero e proprio processo di trasformazione dinamica, dove quelle suggestioni, quei suoni, quelle mappature interiori, tornano in una versione con ampio margine di improvvisazione, modulando quindi in tempo reale timbri, ritmi e microtonalità ed esplorando l’intera geografia sonora degli undici album del ciclo.
L’esperienza dal vivo diventa quindi un ecosistema sonoro unico e irripetibile, dove il materiale discografico funge da “mappa”, ma la mappa viene continuamente rielaborata e ridefinita sul palco
La performance veneziana, realizzata con la collaborazione della performer e sound artist Melissa Speirs, sviluppa la struttura di GRACE come una parabola in due movimenti: Occidente e Oriente.
Il primo atto si apre con forme d’onda elementari, sinusoidale, a dente di sega e quadra, eredità della sintesi occidentale, che Perälä orchestra con rigore quasi liturgico attraverso linee ritmiche ridotte all’essenziale, campi armonici microtonali in lenta espansione, vibrazioni che non si ascoltano soltanto ma si percepiscono con tutto il corpo.
Lo spazio sonoro viene trattato come un’architettura mobile; la sala immersa in una luce rarefatta, quasi clinica, si trasforma in una camera di risonanza per frequenze che si muovono come spirali. Mentre i laser compiono quasi una mappatura degli elementi architettonici del Teatro Alle Tese, i fasci direzionali disegnano un limbo intermittente dove si materializza un altro evento nell’evento.
C’è chi gioca con i fasci di luce, facendosi investire e danzando con l’invisibile, i riflessi e il pulviscolo. Altri invece si abbandona ad uno stato di trance, occupando porzioni di questo spazio fisico plasmato sul momento, dalla quadrifonia e dalle luci che cambiano i confini da percorrere.
Per quanto la posizione di Perala e la Speirs sia frontale, tutto suggerisce circolarità e dispersione.
Il secondo atto, “verso Oriente”, è un lento disvelamento. Le strutture additive si arricchiscono di armonici complessi e tessiture ispirate a tabla, khol e dholak. Queste non sono semplicemente imitazioni di sonorità strumentali legate alla tradizione classica indiana, ma trasfigurazioni sintetiche. Gli algoritmi di sintesi ricreano risonanze tipiche trasportandole in uno spazio astratto e contemporaneo. L’effetto è simile a un “deserto vibrante”, una trance ipnotica dove le categorie di tempo e tonalità si allentano.
Ciò che distingue GRACE da molta musica elettronica contemporanea è la sua costruzione drammaturgica. Non è un live set, né un’installazione ambient, ma un’opera musicale pensata per essere vissuta in due stati complementari. L’ascolto interno, meditativo, dominato da pulsazioni pure, e quello esterno, percussivo e ritmico, che sollecita la dimensione corporea e collettiva. Questo dualismo, la cui ispirazione dichiarata è quella di Yin e Yang, non si limita alla struttura formale, ma attraversa ogni strato della composizione, dalla scelta delle frequenze alla disposizione spaziale dei diffusori, fino al sistema illuminotecnico che invade lo spazio del pubblico creando una simmetria scenica e non più gerarchica tra palco e fruizione.
C’è una natura liminale” della performance, dove si lambisce la soglia estrema tra percezione e immersione, più vicina a un rito sonoro che a un concerto. Si rifiuta quindi la standardizzazione tonale per abbracciare un linguaggio che vive tra matematica e intuizione.
Più rilevante è il modo in cui l’esperienza si trasforma in un laboratorio di ascolto immersivo, in cui il pubblico attiva una potente interazione emotiva: sollecitazioni interiori già presenti nelle risonanze delle tracce in studio diventano qui imprevedibili e spiazzanti, lambendo i confini di un commovente viaggio oltre il corpo.
Si vedono allora persone distese per terra, altre abbandonate contro una colonna, alcune ragazze invece ballano dentro ai fasci luminosi, seguendo un ritmo interiore diverso da quello suggerito dai suoni. La musica si espande nel gesto e la fruizione diventa attiva.
Perälä costruisce una temporalità altra, in cui lo spazio acustico si fa esperienza condivisa; alla Biennale, la performance consolida questa traiettoria, offrendo non un semplice ascolto frontale, ma un attraversamento dinamico dello spazio sonoro.






