mercoledì, Aprile 24, 2024

Blank Project, il poderoso ritorno di Neneh Cherry

La galleria dei figli d’arte è un percorso costellato di nomi e vicende che per posizioni privilegiate hanno accesso ad un mondo che diversamente sarebbe precluso ai più. No, non si tratta di un preludio alla lotta di classe in salsa musicale, ma parlare di Neneh Cherry senza citare l’humus più che mai fertile che l’ha tenuta a battesimo, sarebbe quanto meno scorretto.

Classe 1964, Neneh Marianne Karisson Cherry nasce in Svezia, figlia di un percussionista della Sierra Leone e di una pittrice svedese. Neneh sceglie di segnare la sua carriera col cognome del patrigno, il trombettista jazz Don Cherry, trascorre l’infanzia fra New York e Svezia, entrando a contatto fin da giovanissima con musicisti del calibro di Arthur Russell (Talking Heads e The Modern Lovers). Raggiunto il successo nel 1988 con Buffalo Stance, dopo l’esperienza con i seminali Rip Rig + Panic , Neneh proseguì la sua carriera intrecciando le sorti con nomi del panorama internazionale, come nel caso di Youssou N’Dour con il quale incise la canzone 7 Seconds. Dal 1989, anno che segna l’uscita del primo LP dal titolo Raw Like Sushi, arriva fino al 1996 con l’album Man, mantenendo un successo di altissimo livello, scomparendo subito dopo per diversi anni e riemergendo recentemente con alcuni side project, tra cui il recente “The Thing”, che anticipa in un certo senso toni e modi di questo Blank Project, nuovo disco di dieci tracce in uscita per Smalltown Supersound e prodotto dal dj inglese Kleran Hebden aka Four Tet.

Blank Project pone la distanza con le produzione passate di Neneh, introducendo una linea di fondo sobria, spesso minimale la cui resa è lasciata al confronto voce-batteria o voce-sintetizzatore. Il timbro pieno di Neneh si rivela – ancora oggi – sufficientemente melodico da riempire vuoti e spazi lasciati dalla latitanza di altri strumenti. A metà fra hip hop, r’n’b, Blank Project si dimostra un prodotto versatile, esile per la sua composizione scheletrica, il più delle volte ridotto a pochissimi strumenti (Across The Water). Dal groove fra il grezzo e tribale di Blank Project si procede attraverso il fulgore trip-hop di Naked, la ricarica dei synth pulsanti guarnita dal tintinnio dei campanacci in Weightless, fino all’elettronica cinetica di Out of the Black che ospita la collega svedese Robyn. Di certo il meglio di Neneh si rivela nelle languide dichiarazioni psuedo ossessive come in Spit Three Times, dove l’andamento barcollante sintetizza il meglio prodotto dai Massive Attack con i primi Morcheeba.

Sarà l’aria respirata in casa e insufflata da uno dei massimi esponenti del new-jazz (Don Cherry) sarà il naturale portamento all’eleganza musicale, sarà forse il recupero dello spirito wave-jazz di album come “Attitude”, sarà un momento di riconciliazione forte con la sua storia musicale e personale, fatto sta che Neneh Cherry inanella una sfilza di perle avant-jazz, un beat espressivo che si staglia come eminenza suprema all’interno del gotha delle Black Queen in circolazione.

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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