venerdì, Marzo 29, 2024

Don Cavalli: Temperamental, vecchio ma non tradizionale

Don Cavalli è il nome d’arte di Fabrice Cavalli, musicista, chitarrista e songwriter francese noto per la sua capacità di spaziare tra numerose declinazioni del rock e del folk, con particolare attenzione alle tradizioni apolidi e in movimento come quella Cajun e Zydeco, tanto da esser stato inserito in quell’alveo sospetto e sostanzialmente slavato che porta il nome di “world music”.

Niente di più vicino e lontano dal modo di concepire la musica di Don, il cui suffisso pare derivare dalle sue origini Parmensi, che con le radici ha una relazione fisica e passionale. Nel 2008 dopo aver condiviso il palco con Dan Auerbach dei The Black Keys, viene inserito nella top 50 di Mojo con il suo album di debutto intitolato Cryland; la nota rivista saluta il talento di Cavalli come un’inedita fusione degli standard blues-rock con innesti furiosi di funk e psichedelia.

Temperamental esce a cinque anni di distanza e si apre ad influenze più marcatamente funk-soul, abbandonando quasi del tutto la scia blues-rock ma mantenendo un legame pirotecnico e fantasioso con le tradizioni e le radici del mondo, così da far sembrare Cavalli, negli episodi più country, come una sorta di neo Joe Tex, che già nei settanta univa l’ossessività funk di James Brown ad un utilizzo scanzonato della tradizione Hillbilly.

Ma non è in questa formula chimica che il mondo sonoro di Cavalli si esaurisce, perchè con grande disinvoltura, il nostro gioca con la tradizione indiana utilizzando strumenti come il sitar, recupera il banjo collocandolo tra Cajun e irresistibili marcette Dixieland, cita la cina in un duetto con la bellissima Xiao Li Zhan che scimmiotta la musica tradizionale dell’impero in forma più parodica che etno musicale (The Greatest) accompagnato da un video davvero molto divertente, agevolato in testa a questo articolo.

Se si ascolta con attenzione una traccia come Voice of the voiceless, forse uno dei brani più sountuosamente orchestrati della raccolta, al di là di una matrice gospel, il metissage di Cavalli si dimostra quasi inestricabile, tutti gli elementi di cui abbiamo parlato (country, soul, musica delle radici) sono li ma in una dimensione sicretica e originalissima che ricorda attitudinalmente, il modo in cui Gainsbourg trattava la materia pop.

Dello stesso segno Feel Not Welcome, che si inventa uno strano dub con tanto di Sitar, l’immancabile refrain country e un modo di approcciare il soul non cosi distante dall’house d’annata dei Dee Lite.

E cosa dire di Zundapp, che mette in loop il suono di un “marranzanu” su una base country-western campionata, mentre la voce di Cavalli sembra incespicare tra il gospel e il lamento di un cowboy solitario.

Alla fine i brani più vicini alla tradizione pur riducendosi ad un paio di episodi, non scelgono mai un solo territorio, rimanendo, al minimo sindacale, tra country e soul in modo divertito e irriverente; del resto lo stesso Cavalli lo ha detto chiaramente “suona tutto molto vecchio, ma nient’affatto tradizionale

Stefano Bardetti
Stefano Bardetti
Stefano Bardetti, classe 1974, ascolta musica dai tempi appena precedenti al traumatico passaggio da Vinile a CD; non ha mai assimilato il colpo e per questo ne paga le conseguenze.

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