venerdì, Aprile 19, 2024

Fugazi – First Demo: la recensione

Ian MacKaye, Guy Picciotto, Joe Lally, Brendan Canty, cioè i Fugazi, una delle band chiave nella storia del punk e di quella cosa multiforme che alcuni si ostinano a chiamare indie rock, i paladini del Do It Yourself e di un approccio etico alla musica, della consapevolezza che sono i fan il motore primo di tutto ciò che accade sul palco e anche in studio di registrazione.
Nel gennaio del 1988 i quattro musicisti non erano ancora tutto questo però, erano solo (si fa per dire) dei reduci, in particolare MacKaye con i suoi Minor Threat, della stagione hardcore che aveva infiammato i sobborghi americani negli anni precedenti, reduci che avevano deciso di riprovarci e di formare una nuova band, con la quale fino a quel momento avevano messo insieme una decina di date nei dintorni di Washington, D.C. E in realtà non erano un quartetto, come poi sarebbero passati alla storia, ma solo un trio, con Guy Picciotto non ancora entrato in formazione in pianta stabile e presente solo in una registrazione tra quelle di cui andremo a parlare.

I Fugazi si trovano quindi a registrare il loro primo demo agli Inner Ear Studios di Don Zientara, cercando di mettere su nastro le idee musicali concepite nei primi mesi di vita della band. E dimostrano di avere già ben chiaro il loro percorso e tutto ciò che renderà la loro musica così importante anche dal punto di vista artistico.
In First Demo c’è infatti già l’essenza dei Fugazi: i ritmi spezzati guidati dalla batteria di Canty, la chitarra nervosa ma in grado di sparare riff memorabili suonata per il momento da MacKaye, il basso influenzato dal dub e non solo di Lally, la voce carica di rabbia e ben nota agli amanti del punk del già citato MacKaye, il tutto miscelato per ora non alla perfezione, ma comunque in modo da far capire che ci si trova davanti a qualcosa che diventerà necessariamente grande ed importante.

Soprattutto ci sono già le canzoni, con tutta la loro carica ed i loro ritornelli fatti apposta per essere cantati in coro assieme ai fan assiepati sotto ai palchi, allora di Washington e negli anni seguenti di tutto il mondo: pezzi come Waiting Room, Merchandise, Bad Mouth, la storia in pratica.
I brani poi finiranno nelle loro versioni finali sui primi EP o sul primo album Repeater, con l’eccezione di Furniture, che verrà poi recuperata nel 2001, di The Word e di In Defense Of Humans, che vedranno la luce solo su delle compilation della Dischord. C’è anche un inedito assoluto, escludendo le sue apparizioni nelle Live Series edite dalla band, cioè Turn Off Your Guns, escluso da ogni album per motivi a noi ignoti e anche inspiegabili, data la sua forza dirompente già in versione demo.
Al di là della rarità o meno delle canzoni, First Demo merita comunque un ascolto, per comprendere ancora meglio come si è sviluppato uno dei gruppi più importanti di sempre e per ricordare una volta di più che la vera grande musica nasce così, da cuore e sudore.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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