martedì, Aprile 23, 2024

Fumoir: bere Assenzio a Firenze? Se è flambé, no grazie!

Se nei cocktails che beviamo oggi l’uso dei cosiddetti “bitters” è quasi irrinunciabile, pochi sanno che la tendenza a bilanciare il sapore delle bevande con estratti di erbe, foglie e frutta, come per esempio l’Angostura, è una conseguenza della lotta all’alcolismo che imperversava nei primi anni del novecento, quando l’assenzio fu abolito dalle ricette alcoliche più diffuse e la privatizzazione delle distillerie fu applicata come metodo di controllo sulla produzione.

Ad eccezione di Gran Bretagna e Spagna, nei primi anni del novecento l’assenzio comincia a scomparire in un contesto difficile, dove convergono le preoccupazioni dei produttori francesi di vini, la parzialità delle ricerche scientifiche sulla tossicità del tujone, e i pregiudizi sulle presunte qualità allucinogene della bevanda, che si sono trascinati fino ai primi anni zero e che ancora oggi persistono, grazie alla diffusione di mitologie da luna park, maledettismi di massa inclusi.

L’assenzio segue quindi un destino simile negli Stati Uniti con l’introduzione delle leggi proibizioniste del 1919.
Il sogno di Andrew Volstead, padre del testo che regolava il divieto sugli alcolici in USA, si infrange ben presto e le porte dell’inferno, invece di chiudersi, si apriranno vomitando per strada i peggiori incubi criminogeni.

Il percorso legale dell’assenzio, per un’aura maledetta dura a morire, è in generale più accidentato rispetto ad altri alcolici e in Italia viene proibito in una fase successiva, con una legge fascista degli anni trenta mentre si continua a bere Vermut nella cui composizione è presente anche l’artemisia absinthium, l’erba officinale che distillata insieme ad altre è alla base della lavorazione della “fata verde”.

L’attuale normativa europea risale al gennaio del 1992, valida per tutti i paesi della comunità consente la commercializzazione dell’assenzio a patto che i quantitativi di tujone presenti non superino i 35 mg per ogni litro.

Il tujone è un terpene contenuto in alcune piante (dalla salvia all’artemisia, per citarne alcune), la cui tossicità è rilevante solo in presenza di quantità che superano di gran lunga quelle utilizzate storicamente nella produzione dell’assenzio. È proprio sulla minore o maggiore presenza del tujone che si sono sviluppate le principali leggende sulle sue proprietà allucinogene. L’idea che l’assenzio commercializzato nell’800 avesse proprietà diverse per una maggiore concentrazione di tujone è assolutamente falsa, se si considera che solo alcuni prodotti raggiungevano i 30 mg, assestandosi per lo più sotto i 10 mg.

Tra le leggende nocive, proprio in relazione al gusto e al bilanciamento aromatico dell’assenzio, la più  demenziale è anche quella più diffusa, ed è legata alle modalità rituali per berlo, almeno in un’ottica forzatamente “maudit”.

La prassi “alla fiamma” è una delirante trovata commerciale risalente alla prima metà degli anni novanta (del ‘900, non dell’800!) diffusa dalla rinascita della distilleria Randomil Hill nella Repubblica Ceca, produttrice di un vero e proprio surrogato infestato da coloranti E 133, E 131 ed E 102.
Il metodo flambé, con tanto di zolletta di zucchero imbevuta d’assenzio, oltre a disperdere gli olii essenziali delle erbe impiegate durante il processo di distillazione, ne altera il sapore a causa della combustione.

Nel video dei Bluvertigo intitolato L’assenzio e diretto nel 2000 da Asia Argento, quando compare Franco Battiato nella parte di un matematico alchimista intento a preparare un bicchiere di assenzio, pur nella necessità frequentativa del racconto, il rituale seguito è quello corretto della zolletta di zucchero su cucchiaio forato, sopra il quale viene versata acqua fredda, così da consentire il cosiddetto louche, ovvero quell’intorpidimento che rende la bevanda opaca, trasformando l’esperienza del gusto in una magnifica avventura soggettiva.

Nessuna traccia d’incendio quindi.

Senza addentrarsi nella fitta rete di rimandi e riferimenti alchemico esoterici, dove il colore verde si trova ad occupare una posizione centrale anche se non esclusiva (pensiamo al volume scritto nel 2013 da Manlio Brusatin ed edito da Marsilio) e senza pretendere che un club il cui scopo è fare cassa si faccia carico di una complessa stratificazione culturale, ci ha negativamente colpito la comunicazione stampa dedicata all’imminente apertura del Fumoir, prevista per oggi, mercoledi 12 ottobre dalle ore 18:30 in via Fiesolana 25, presso il noto locale fiorentino  “Rex”

I protagonisti del club, oltre ad un aperitivo ispirato agli anni trenta, saranno alcuni “distillati all’assenzio”

Tra arredi vintage e musica swing, Cotton Club e gusto italiano, la saletta cercherà di recuperare lo spirito del Rex, il bar interno allo stesso transatlantico italiano commissionato dalla Navigazione Generale e varato nel 1931, uno strano mix filologico se si considera che proprio in quell’anno in Italia, l’assenzio veniva vietato.

Ma se la ricerca del pelo nell’uovo è del tutto fuori luogo quando si parla di divertimento Kitsch o rimasticamenti post-post-moderni dove il salto temporale e l’accostamento ardito è d’obbligo,  altra cosa è pretendere qualità nella somministrazione dei prodotti proposti.

Ancora non abbiamo potuto testare personalmente il menù dei distillati del “Fumoir”, e per quanto riguarda l’assenzio, sono presenti nomi tutto sommato rispettabili come il Vieux Pontalier, mentre nella lista sembra non esserci alcuna traccia dei “falsi” di cui è ricolmo il mercato e che un’associazione attenta e rigorosa come la Wormwood Society snida da lungo tempo.

Ci sembra allora incomprensibile la scelta “circense” e dozzinale di proporre su richiesta “la famosa zolletta di zucchero da incendiare per ottenere l’effetto “flaming” e fare un tuffo nei più tenebrosi caffè parigini frequentati da poeti maledetti e artisti a caccia di ispirazione

Il solito, dannosissimo luogo comune, rovina di tutte le degustazioni legate all’assenzio.

 

Piero Certini
Piero Certini
Piero Certini si è laureato in letteratura anglo-americana con una tesi su Raymond Carver. Ama tutta la musica pop e crede che tra questa e un romanzo non ci siano grandi differenze.

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