venerdì, Novembre 14, 2025

Graindelavoix – Epitaphs of Afterwardness @ la Biennale Musica 2025: recensione

Granulosità della voce e il passato che osserva il presente dai due lati di uno stesso specchio. Il dialogo tra Machaut e Kurtág nella sorprendente performance di Graindelavoix alla Biennale Musica 2025, la recensione

Fondato nel 1999 ad Anversa da Björn Schmelzer, il collettivo Graindelavoix è noto per un approccio critico e creativo alla musica storica. Questo non si limita alla pura filologia ma investe l’atto esecutivo come gesto interpretativo radicale. Il nome stesso richiama un concetto elaborato da Roland Barthes e basato sull’idea che la “granulosità” della voce sia in grado di tradurre l’elemento materiale e corporeo del suono, al di là del messaggio veicolato.
In termini empirici, il lavoro del collettivo si colloca a cavallo tra musica antica, le pratiche legate all’improvvisazione, la poesia del gesto vocale e una riflessione critica sul passato.
Nell’indagare ciò “che la notazione non dice”, Grandelavoix ha intrecciato repertori medievali e rinascimentali con pratiche sperimentali, collaborando con artisti visivi e coreografi, e riflettendo sul rapporto tra trasmissione e “resistenza del non detto”.

Epitaphs of Afterwardness, l’evento messo in scena alla Biennale Musica 2025, si inscrive coerentemente nel loro percorso, dove Guillaume de Machaut viene fatto dialogare con una catena drammaturgica di autori come György Kurtág, Ligeti, Xenakis, Bach, Walter, per costruire una nuova grammatica dell’ascolto e disattendere la nozione museale e statica del concerto.

L’apertura è affidata al piano di Jan Michiels nell’esecuzione di Virág az ember di Kurtág come preludio sospeso. L’uso della sordina predispone l’ascolto a tarare l’orecchio verso il silenzio, un vero e proprio ingresso di soglia per La Messe de Nostre Dame.
Il materiale medievale del Kyrie 1-2 di Machaut viene allora incluso dinamicamente dentro un tessuto sonoro instabile grazie anche alla presenza di Evryali (Xenakis) e Antiphony (Kurtág) nella successione, per creare l’effetto di un dialogo con le mini-gestualità di Kurtág che interrompono la continuità.
L’alternanza quindi tra Kyrie e Christe di Machaut e Versetto 1 + Ligatura di Kurtág, con la conclusione della seconda parte affidata al Gloria, assume una dimensione modulare, dove l’audizione non è “ineluttabile”, ma scandita da cesure affettive. Queste sono evidenziate dal contrasto fra pieno vocale e i brevissimi intermezzi, nella direzione di una topologia drammatica tra tensione, dislocazione e sospensione.

Il fatto che Virág az ember ricompaia al terzo segmento offre un effetto circolare, fungendo da filo invisibile che tiene unito il programma, attraverso una rimodulazione del materiale.

La quarta sezione è il cuore pulsante del confronto tra Machaut e gli epitaffi sonori, si passa infatti dal Credo al lavoro di Kurtág basato sulla trascrizione corale bachiana di O Mensch, bewein dein Sünde groß, per aprirsi verso L’escalier du diable di Ligeti come intermezzo dialettico e visionario ed infine al Sanctus. Si verifica una vera e propria concatenazione di spazi sonori dove il coro si condensa, si espande, si dirada, interrotto da lampi rumorosi.

Nella quinta parte Automne à Varsovie di Ligeti sospende la gravità sonica, sfumando l’energia drammatica in un paesaggio crepuscolare, per preparare il Ite Missa est de La Messe de Nostre Dame come congedo, quasi un canto che si disperde nell’aria, non come autorità liturgica ma nella forma di una traccia che svanisce.

La sezione conclusiva, con Christ lag in Todesbanden (Johann Walter) e la Chaconne in D minor di Bach arrangiata per mano sinistra, definisce un epilogo fatto di resti. Mentre Walter racchiude una reminiscenza controriformista, la Chaconne mette in luce l’eco barocca, qui resa frammentaria dall’arrangiamento per mano sinistra (Brahms / Michiels / Graindelavoix). Un’anti-soluzione imprevedibile, come se la massa principale si disperdesse nella forma residuale della dissilvenza.

Graindelavoix riesce ad utilizzare Kurtág al di fuori della retorica del commento, ma come vero e proprio controcanto. Le due linee principali, rappresentate da Machaut e dalla musica del compositore ungherese, sono come due voci distanti che si ricontestualizzano a vicenda.
Un progetto ambizioso dove il compito dell’esecuzione è tessere connessioni sottili, di colore e articolazione, che implichino continuità di ascolto.

La Chiesa di San Lorenzo viene utilizzata da Grandelavoix per scavare lo spazio acustico nelle risonanze architettoniche, attraverso i movimenti del coro lungo lo spazio, oppure per rivelare il suono nello stesso sito grazie alle posizioni dislocate o alla concentrazione in due parti della struttura.

Al centro dello spazio sacro un’illuminazione minimale, offerta da uba lampada ad incandescenza utile a condurci lentamente verso l’oscurità e a sollecitare l’attenzione sul suono.
Il tempo dei brani di Machaut affidato alle sei voci del coro non rispetta il ritmo mensurale con precisione metrica, ma adotta un tempo sospeso, fatto anche di sfalzamenti e sovrapposizioni.

Le frasi vengono stirate, sospese, rallentate o spezzate da micro-pause non previste e alcuni melismi vengono espansi, creando una tensione tra la scrittura originaria e una nuova percezione.

L’ensemble rifiuta deliberatamente la vocalità “pura” e neutra tipica di molti gruppi di musica antica, per valorizzare la granulosità individuale di ogni voce e la corporeità a dispetto dell’uniformità.
Una vulnerabilità e una fragilità ricercata, soprattutto in termini evocativi e poetici, per rendere viva la memoria storica.
Si ha la sensazione, durante il concerto, di un lento svanire spettrale in cui la polifonia si trasforma in drone armonico, attraverso inflessioni microtonali e risonanze prolungate che sospendono il tempo musicale.

Perturbanti e sensoriali allo stesso tempo, il presente e il passato si osservano dai due lati di uno stesso specchio.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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