lunedì, Dicembre 2, 2024

I dolori del giovane Walter, Truman Show: l’intervista al videomaker Marco Jeannin

I dolori del giovane Walter, progetto e band nata da un'idea di Walter Valletta con il nuovo singolo "Truman Show". Il video, ricco di stratificazioni cinematografiche, è diretto dall'ottimo Marco Jeannin. L'intervista al regista

I Dolori del giovane Walter è una band nata dalle idee e dalle intenzioni di Walter Valletta, giovane cantautore cilentano che muove i primi passi nel 2015, per poi concretizzare la formazione nel 2017. Il pop radicato nella scrittura di Valletta accoglie quindi sonorità rock e getta le basi per quello che quattro anni dopo sarà il primo singolo, intitolato “Piano”, ottimo successo di critica e pubblico, con numeri importanti, non solo per il contesto.
Truman Show“, il video del nuovo singolo, dal 24 gennaio ad oggi ha già totalizzato sessantamila visite. Merito anche del lavoro di Marco Jeannin, regista sensibile con all’attivo numerose regie e collaborazioni di prestigio nell’ambito della videomusica italiana.

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I dolori del Giovane Walter, Truman Show, il video di Marco Jeannin

Marco Jeannin: da La Jetee al Cilento. Il making e l’intervista su “Truman Show”

La prima domanda che vorrei farti è se hai pensato a La Jetee per il video di Truman Show. Te lo chiedo perché in modo sottilissimo e altrettanto intelligente, sembra una rielaborazione molto originale del film di Chris Marker

Bel colpo: La Jetee è sicuramente una delle reference legate al video di Truman Show, oltre ovviamente a The Truman Show. Ho sempre trovato La Jetee un lavoro più che affascinante, non tanto per il tipo di racconto, che ovviamente ha fatto storia, o per la sua natura sperimentale, quanto per l’atmosfera e la sensazione di sospensione che si respira dall’inizio alla fine. Qualcosa di davvero unico che a un livello più o meno conscio ha sicuramente inciso su questo lavoro, anche solo in termini di genere e mood.

C’è comunque un’allure sci-fi nel video…

L’idea era proprio quella: arrivare a raccontare una storia d’amore con un qualcosa di diverso, anche solo in termini di ambientazione. Esplorare questo genere senza però renderlo troppo esplicito è qualcosa a cui abbiamo puntato fin dall’inizio. In questo senso sono bastate tute bianche e un paio di visori per caratterizzare l’intero racconto. Che poi questo racconto non sia potenzialmente tanto distante dalla realtà è un altro discorso…

Alcuni frammenti elaborano un’immaginario fotografico, come se tu volessi catturare la volatilità dell’istante con una dimensione temporale che non sembra scorrere…

Il tuo è un punto di vista interessante e trovo descriva bene le intenzioni con cui ho affrontato il video. In passato ho utilizzato tanti altri tipi di linguaggio e ti dirò… andava benissimo così. Per Truman Show, ragionare per quadri con pochi movimenti di macchina o nessuno, mi ha permesso di concentrarmi sulla messa in scena e valorizzare la composizione, fissando alcuni momenti per definire un’atmosfera, un mondo sospeso e molto preciso. Certo, l’idea è sempre di lavorare lo spazio per costruire una narrazione che abbia senso, ridare a chi guarda una sensazione di tridimensionalità e conferire credibilità all’immagine, ma va fatta una piccola integrazione. Mi piace girare in questo modo e avere questo tipo di controllo sull’immagine perché mi rappresenta. Gestire lo spazio e soprattutto ragionare il tempo in questo modo, in questo momento, mi da sicurezza.

Come in altri tuoi video utilizzi il punto di vista dei nuovi formati, smartphone, visione aumentata, VR in questo caso, per raccontarlo con altri mezzi. Anche se il processo è diverso, mi ha fatto venire in mente la prospettiva di “spreco di potenziale”. In qualche modo sembra tu racconti il modo in cui questa generazione osserva e si vede…

Sapere che hai fatto un recap dei miei video è qualcosa che mi fa piacere e ti ringrazio. In “Spreco di potenziale” (N.d.a. video diretto da Federico Cangianiello per Dito Nella Piaga, dove Jeannin era direttore della fotografia) io mi sono occupato della fotografia ma l’idea del body rig e di quella particolare soggettiva era interamente del regista, che tra l’altro è uno dei miei migliori amici. Ad ogni modo è sicuramente un lavoro in linea con quello che è il mio immaginario e l’idea di utilizzare linguaggi diversi è qualcosa che mi interessa in modo particolare. Sfruttare la potenza di una soggettiva, raccontare una storia integrandola con le riprese di uno smartphone o inserendo personaggi immersi nei loro visori mi sembra qualcosa di naturale dal momento che questi strumenti e questi punti di vista fanno parte ormai della quotidianità, non solo di questa generazione ma di un po’ di tutti.


Come hai lavorato con il progetto di Walter Valletta, dall’idea alla produzione del video?

Per Truman Show abbiamo lavorato in modo molto lineare e metodico. Una volta sentito il pezzo e ricevuto una serie di suggestioni da parte di Walter, del produttore e discografico Paolo Naselli Flores e dei ragazzi della band, un gruppo di amici davvero unico, ho lavorato ad uno script che funzionasse per me e per loro. Da li si è passati al lavoro di reference, all’impostazione del mood generale del video e all’organizzazione delle riprese. Vivendo praticamente a più di mille chilometri di distanza, io e Luca, il mio imprescindibile aiuto regia e assistente di macchina da presa, abbiamo fatto parecchie video call per arrivare alle riprese il più preparati possibile. In questo senso i ragazzi sono stati incredibili perché si sono lanciati nel progetto da veri professionisti e con un entusiasmo contagioso, trovando le location, facendo sopralluoghi e partecipando anima e cuore a tutta la pre produzione. Più che una band sono stati una piccola casa di produzione. Eccezionali davvero. Quando poi hai alle spalle un lavoro di preparazione di questo tipo non dico che girare venga quasi automatico ma poco ci manca. La preparazione e la condivisione del progetto sono, a mio avviso, le cose più importanti in assoluto, e lavorare a stretto contatto con le band e con gli artisti anche in modo molto pratico è uno degli aspetti migliori del processo creativo legato alla produzione di un videoclip.

Dove avete girato?

Nel meraviglioso Cilento, a Pioppi e dintorni, a casa dei Dolori. Location uniche che hanno fatto davvero la differenza.

Come in altri tuoi video cerchi una dimensione mentale isolando alcuni elementi della realtà: dettagli che superano la funzione descrittiva e diventano simbolici…

Mi capita spesso e lo considero quasi un riflesso condizionato. Mi piace concentrarmi su alcuni dettagli che definiscono un ambiente o un personaggio. Una delle inquadrature che preferisco di Truman Show, ad esempio, è il dettaglio fuori fuoco della maglietta del protagonista, quando i due ragazzi sono davanti all’auto. L’auto è a fuoco, la maglietta no.
Narrativamente non ha una valenza di qualche tipo, non sposta nulla in termini di racconto, ma credo aiuti parecchio a definire il mood. In quella particolare inquadratura la macchina da presa è immobile, posizionata in un punto “sbagliato”. Niente primi piani, nessuna vera azione. La camera non inquadra qualcosa di significativo, anzi: si sta perdendo la parte migliore e il fuoco è dove non dovrebbe essere. L’inquadratura è la rappresentazione di un problema pratico ambientato nel mondo virtuale raccontato nel video. Un bug di sistema.

Oggi il videoclip è un bacino dove confluiscono più elementi, dalle arti visuali a quelle performative. In verità ha sempre rappresentato un punto di convergenza, ma la diffusione in rete ha consentito altre ibridazioni, nuovi formati, nuove durate, nuove forme dell’attenzione. Per te dove risiedono gli stimoli e le possibilità del videoclip contemporaneo?

E’ qualcosa su cui riflettere e non so darti una risposta davvero esaustiva. Potremmo doverne parlare per un pò. Che il videoclip oggi sia andato oltre il concetto classico di videoclip è qualcosa sotto gli occhi di tutti. La rivoluzione digitale e la rete hanno ovviamente contributo a questa evoluzione; fare videoclip oggi non è certamente la stessa cosa di vent’anni fa. A fronte di budget diversi, ora abbiamo più mezzi, più tecnologia, più opzioni. Cosa che può risultare un vantaggio in termini di possibilità creative, ma paradossalmente anche un limite. Ottenere un video accettabile è più semplice, se conosci le basi. La differenza la fanno le idee che, fino a prova contraria, dipendono ancora dalle persone. Lo stimolo secondo me sta nella possibilità stessa data dal formato videoclip di coltivare le idee ed esplorare linguaggi in modo piuttosto libero. Come dici tu, i videoclip sono stati e sono tutt’ora una vera palestra per la sperimentazione e la contaminazione di diversi tipi di generi e di arti. Servono però artisti ed etichette che condividano questo approccio, che abbiano questo come obiettivo principale. Provare. Sperimentare. Creare sempre qualcosa di personale. Con i Dolori è andata così.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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