venerdì, Dicembre 13, 2024

Johnny Hallyday – The sound, the fury: la recensione

Quando Johnny Hallyday debutta in Francia nel marzo del ’60 con il suo primo EP si verifica un vero e proprio shock nella terra dei nostri “cugini”, perchè il suono del rock’n’roll fino ai tardi cinquanta, da quelle parti si poteva ascoltare per lo più attraverso le basi Americane installate dopo il patto atlantico e l’unico esperimento francofono ispirato a quella musica è quello di Richard Anthony nel 1958 con un Ep sostanzialmente devoto alla musica di Paul Anka, un tentativo pulitino ed educato che non scalfirà troppo corpi e coscienze dei Francesi. Saranno altri canali a far filtrare la cultura Americana tra la gioventù gallica e non è un caso che Hallyday sia emerso contemporaneamente all’influenza della Nouvelle Vague, perchè il suo rock, pur partendo dall’ispirazione delle principali icone del genere, sarà una rilettura del tutto francese e francofona di quelle intuizioni. La raccolta pubblicata da RPM International, uno dei “brand” distribuiti da Cherry Red ha il merito di documentare gli inizi del musicista Francese con una selezione di 20 brani pubblicati tra il 1960 e il 1961, ovvero i primi veri e propri due anni di carriera del nostro, precedenti all’esplosione di uno stile più contaminato, ma ancora selvaggiamente urgenti e ancorati ad una forte spontaneità, tanto da confermarsi come documento importantissimo di un percorso musicale brillante. Hallyday nasce in una famiglia coinvolta negli affari dello spettacolo, il padre attore e ballerino, la madre modella, aspetto che costringe il piccolo ad una vita itinerante accentuata dalla separazione dei suoi. Jean-Philippe Smet (questo il suo vero nome) viene a contatto con il mondo dello spettacolo molto presto, basta pensare che nel 1955, a soli dodici anni farà parte del cast di Les Diaboliques, il noto film di Henri-Georges Clouzet e sarà proprio il cinema il mezzo attraverso il quale conoscerà il bacino di Elvis. L’ossessione nasce da qui e dopo aver sperimentato furiosamente con una serie di registrazioni casalinghe, grazie ad una famiglia introdotta come la sua, nel ’50 viene catapultato in televisione per la registrazione di alcune cover di Elivs. La sua energia colpirà i signori della Vogue Records che lo metteranno sotto contratto. Dopo il primo Ep ne inciderà altri otto tutti entro poco più di un anno, per poi abbandonare la Vogue a favore della Philips imboccando la strada di un successo molto più vasto. La raccolta “The sound, the fury” è un documento accuratissimo di tutto il periodo Vogue, costituito da cover rielaborate in francese, ma anche da brani originali scritti per lui dalla coppia Gilbert Guènet e Roger Jean Setti, noti come “Jill et Jan” e sostanzialmente responsabili di tutta questa prima fase della carriera di Hallyday. Il primo vero successo di vendite arriva con il secondo degli EP pubblicati da Vogue. Hallyday è pronto per incarnare l’ansia di rivolta dei giovani francesi; non è un caso che dal primo vero e proprio tour in patria del novembre 1960 cominceranno i disordini che diventeranno una costante per buona parte dei suoi concerti di quel periodo, basta pensare al velocissimo affermarsi dei “les blousons noirs”, definizione che fa la sua comparsa per la prima volta in un articolo nel 1959 su France-Soir, in relazione ad una banda di “ragazzacci” che crearono alcuni disordini a Parigi e che si ispiravano direttamente all’abbigliamento, lo stile di vita e la filosofia del rock’n’roll. Stereotipi a parte, il tour che segna la fine della collaborazione tra Hallyday e la Vogue è nella primavera del ’61; poco dopo, con la Philips, il musicista francese calcherà le scene dell’Olympia, primo passo verso il successo europeo e i primi viaggi negli states. Rimangono una manciata di brani, relativi a questo primo periodo, urgenti, rozzi, potenti e senza filtri, e che testimoniano la forza di una rilettura fatta alla luce della tradizione Francese. Un talento per la reinvenzione che diventerà una delle caratteristiche più evidenti dell’arte di Hallyday, capace di rilanciarsi in vari modi durante la sua lunga carriera. In questa fase le icone di riferimento oltre ad Elvis e i classici di Floyd Robinson, Ronnie Self, Fats Domino, fanno parte di una re-interpretazione iconoclasta dalla tradizione degli chansonnier francesi vista attraverso la lente della rivolta che incendia gli animi della gioventù Francese di quegli anni. Non solo testi, temi e musica ma anche un’attitudine e una propensione al maledettismo che diventerà una delle costanti nella vita di Hallyday, sospesa tra realtà e postura; i migliori ingredienti per un buon racconto pop-rock.

Ugo Carpi
Ugo Carpi
Ugo Carpi ascolta e scrive per passione. Predilige il rock selvaggio, rumoroso, fatto con il sangue e con il cuore.

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