giovedì, Aprile 18, 2024

Oblivians – Desperation, dopo 16 anni fortunatamente ancora sporchi e cattivi

Gli Oblivians hanno segnato profondamente il garage-punk degli anni ’90, con la loro miscela esplosiva fatta in parti uguali di sporcizia, rozzezza, scampoli di melodie e nichilismo nei testi e nell’approccio alla materia musicale. Poco o nulla di simile era stato fatto fino a quel momento, furono un terremoto che ancor oggi fa sentire i suoi effetti (tra le nuovissime leve basti pensare ai Fidlar) e che nel tempo ha avuto anche alunni in grado di superare i maestri, a partire dal compianto Jay Reatard. Cosa c’è di quegli Oblivians in questo Desperation, che segna il ritorno del trio dopo ben sedici anni di silenzio? Non molto, bisogna dirlo. Desperation è un disco diverso dai due classici della band, Soul Food e Popular Favourites, come diverso era anche …Play Nine Songs With Mr. Quintron, ma non per questo è un disco poco valido. Sicuramente non segnerà un’epoca come fecero quei due album, ma fa capire che gli Oblivians sanno ancora trattare come pochi la materia garage, stavolta con uno sguardo meno distruttivo e più filologico verso il passato, e che sanno scrivere canzoni di ottimo livello, più credibili per dei quarantenni rispetto per esempio a And Then I Fucked Her o No Reason To Live, che erano tra i momenti migliori del primo album. Se ci si approccia a Desperation come una semplice collezione di canzoni rock’n’roll non si rimarrà dunque delusi, se al contrario (non che non sia lecito, sia chiaro) ci si aspetta una deflagrazione di suoni abrasivi e rivoluzionari potrà farsi strada l’insoddisfazione. Il nostro consiglio è di seguire la prima strada, perché sarebbe un peccato perdersi ottimi pezzi, che vanno a ripescare e a riproporre la grande tradizione garage anni ’60 e ’80, ma anche perché è giusto lasciare a band più giovani il sacro fuoco della rivolta, e band così ce ne sono e sempre ce ne saranno, magari non geniali come furono gli Oblivians ma di cui ci si può accontentare. E allora godiamoci queste canzoni per quello che sono: ad esempio Loving Cup, gran cover della Paul Butterfield Blues Band resa in modalità Nuggets, Call The Police, in odore di Fleshtones, Come a Little Closer e Little War Child, con le loro melodie sixties perfette tra Beach Boys e Troggs, o anche Mama Guitar, bella chiusura surfeggiante, una specie di inquieta spiaggia atomica anni cinquanta trasportata al giorno d’oggi.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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