venerdì, Aprile 19, 2024

Q. Are We Not Men? A: We Are Devo! I videoclip della band di Akron: cicatrice punk

Usciva oggi 28 agosto 1978, il primo album dei DEVO. Ma l'esplorazione delle possibilità della videomusica, per Mothersbaugh e soci, erano precedenti. We are not man, we are video-DEVO

Il 28 agosto 1978 usciva il primo album dei DEVO, prodotto da Brian Eno dopo un lungo apprendistato della band di Akron, giunta al full lenght a cinque anni dalla formazione. 
Prima della pubblicazione del disco, Mark Mothersbaugh e Gerry Casale  si esibiscono a lungo dal vivo, pubblicano alcuni singoli, ma soprattutto si fanno notare per il premio all’Ann Arbor Film Festival con il film “In the beginning was the end: The Truth about De-Evolution“, messo insieme da Chuck Statler.

Considerato il primo vero pioniere dei video musicali nella loro accezione catodica, poco dopo i promo video e appena prima l’esplosione di MTV, Statler incontra il nucleo fondativo dei DEVO da studente, durante i primi anni settanta passati insieme alla Kent State University. Il corso d’arte sperimentale frequentato dai tre era quello del professore associato Robert Culley e in qualche modo diventa il propellente iniziale per mettere insieme musica e arte visiva. Fu proprio durante gli anni del campus che i membri della Guardia Nazionale dell’Ohio, il 4 maggio del 1970, irruppero in seguito ad una protesta studentesca per contestare l’invasione della Cambogia, causando la morte di quattro studenti. Un vero e proprio trauma che spinge Mothersbaugh e soci a riflettere sul concetto di de-evoluzione, ovvero l’idea che gli esseri umani si evolvano al contrario, aspetto che sarà fondamentale per tutto il discorso teorico-performativo alla base delle invenzioni creative dei futuri DEVO.

La critica alla cultura contemporanea diventa a poco a poco il cuore della questione, a partire dai sistemi di persuasione incorporati nell’advertising coevo, che tra estetica della ripetizione e simulacri emotivi indotti artificialmente, sarà aspetto cruciale nella musica e nella controparte videomusicale dei DEVO. L’uniformità seriale della produzione di massa viene irrisa attraverso l’utilizzo insistito di maschere e travestimenti, che disinnescano il meccanismo con una selvaggia e delirante propensione ludica. 

Per la band di Akron, Statler ha rappresentato, proprio in questa fase e fino al 1980, la possibilità di impiegare i promo video in una dimensione espansa e parallela rispetto ai palinsesti tradizionali, prima e dopo l’avvento della principale televisione tematica dedicata ai videoclip. Già con “In the beginning was the end: The Truth about De-Evolution”, girato in 16mm con un budget di circa 2.000 dollari, la long form che diventerà abituale per i DEVO con l’avvento della distribuzione su formato VHS, è un collage di lacerti televisivi, advertising, performance live, slapstick comedy, videoclip compiuti, così da ricostruire una personale cable-tv impazzita come territorio di convergenza, quasi un’indicazione creativa precisa di quello che sarebbe stato lo spazio combinatorio della videomusica a venire.

Statler si dimostra attivissimo alla fine degli anni settanta e realizzerà un buon numero di promo per etichette come la ZE Records di Michael Zilkha e Michel Esteban ed altre realtà underground, lavorando per artisti come Elvis Costello, Graham Parker, Nick Lowe, Madness, Suicide Commandos, The J. Geils Band. 

Il primo video effettivamente girato da Slater per i DEVO è “Secret Agent Man“, introdotto nel film completo da una sequenza dove la band, vestita con tute ed elmetti protettivi, chiude la propria giornata lavorativa nello stabilimento che fabbrica pneumatici, ricostruito dall’esposizione museale della Goodyear’s World Of Rubber di Akron, situata di fronte alla nota azienda. L’ultimo lavoratore ad uscire è Booji Boy, personaggio ideato dalla band, l’unico che non indossa una maschera trasparente, ma un vero e proprio simulacro di gomma. Si infilano tutti nella Chevy Biscayne del 1967 di proprietà di Mark Mothersbaugh, per entrare in una sorta di garage con gli strumenti in mano ed eseguire la cover di Johnny Rivers, con Bob Mothersbaugh alla voce solista; la clip fu infatti girata nel 1974 e montata successivamente nel 1976 per l’inserimento in ” The Truth About De-Evolution”.

Booji Boy fa da collante a tutto il film e nel tempo occuperà una mitopoiesi tutta sua, anche fuori dalla discografia ufficiale dei DEVO. “Spirito infantile” della de-evoluzione, vestito con una tuta anti-radiazioni e frutto di una mutazione genetica, è il figlio di General Boy, il leader dell’esercito de-evoluzionario. Nei video della band appare come il front leader. Pessimista sulle sue stesse origini, desidera l’estinzione degli esseri umani “normali” con una forzatura della catena del DNA. Su queste basi, Mothersbaugh costruisce una narrazione transmediale che attraversa la prima fase della carriera discografica dei DEVO per espandersi frammentariamente come un ipertesto, tra videogiochi, merchandising, produzione in serie di maschere e la pubblicazione di un volume intitolato My Struggle, vera e propria satira del Mein Kampf e del libretto rosso di Mao. 

Abilmente i DEVO cavalcano la deperibilità degli oggetti di consumo con furia wharoliana, rimanendo sempre a metà tra l’adesione incondizionata alla dimensione simulacrale e la sua distruzione, la rilettura critica e l’utilizzo spietato dei segni iconici come rielaborazione estrema dell’idea di gadget.

Il secondo video diretto da Statler è “Jocko Homo“, anthem della de-evoluzione che si salda tra la coreografia del video punk, ripresa in più occasioni negli anni successivi e la distorsione metatestuale di Jocko-Homo Heavenbound, il trattato anti-evoluzionista scritto dal creazionista Bertram Henry Shadduck nel 1924. Nelle mani di Mothersbaugh alcuni estratti dal delirante volume diventano l’inno di una colonizzazione aliena, la rivoluzione dei contaminati, l’escrescenza dei nuovi freak provenienti dalla cultura post-atomica degli anni cinquanta, proiettata verso la pervasività ripetibile della comunicazione multimediale che di li a poco decreterà la completa trasformazione del mezzo televisivo, per favorire quell’informatizzazione che cambierà le stesse preferenze dei DEVO.
Rimediazioni che attraversano tutta la prassi di Mothersbaug e soci, dal cut-up Burroughsiano che mediante Letraset gli consente di giocare tra la parola Boogie e il mispelling “Booji”, fino alla completa fusione con il Jingle come prassi compositiva informatizzata.

Ispirato al Wellsiano “The Island of Lost Souls” diretto nel 1932 da Erle C. Kenton è l’occasione per ricombinare tecniche di composizione moderniste (Nicolas Slonimsky, Bartok) con un lavoro sul testo e l’immagine della stessa origine, tra fantascienza, pseudo-scienze e oscuri riferimenti religiosi.

Ma esattamente come la materia musicale, quella visuale di Statler / Mothersbaugh e Casale, occupa uno straordinario momento di transizione nell’evoluzione dell’immagine catodica.

Tra pellicola ed elettronica, come tra synths e rock primitivo e prima ancora che le macchine prendessero il sopravvento, la cicatrice era ancora visibile.

Punk?

  1. wear gaudy colors or avoid display
  2. lay a million eggs or give birth to one
  3. the fittest shall survive yet the unfit may live
  4. be like your ancestors or be different
  5. we must repeat!

 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker, un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana e un Critico Cinematografico iscritto a SNCCI. Si occupa da anni di formazione e content management. È un esperto di storia del videoclip e del mondo Podcast, che ha affrontato in varie forme e format. Scrive anche di musica e colonne sonore. Ha pubblicato volumi su cinema e new media.

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