venerdì, Marzo 29, 2024

SOAK – Before We Forgot How To Dream: la recensione

Nel 1997, allora tredicenne, iniziai ad ascoltare musica deprimente o quantomeno malinconica grazie ai Verve di Urban Hymns e a pezzi come The Drugs Don’t Work e Space And Time, abitudine che non ho quasi mai abbandonato nel resto della mia vita. Sempre nel 1997 nasceva Bridie Monds-Watson, ragazzina nordirlandese che col suo disco di esordio a nome SOAK, Before We Forgot How To Dream, ha la capacità di riportarmi a quegli anni adolescenziali e a quelle atmosfere che iniziai allora ad amare.

Per farlo le basta raccontare i suoi turbamenti, che poi sono quelli che più o meno tutti abbiamo passato tra i 13 e i 19 anni (e spesso anche dopo), in brani dall’ossatura folk, basati quasi sempre su semplici giri di piano o chitarra poi di volta in volta rielaborati con elementi di varia estrazione, e dalle melodie cristalline, figlie di quello che non può che essere considerato un talento innato, una benedizione per lei e, oserei dire, per l’intero mondo pop britannico.

Le 11 canzoni contenute nel disco, coadiuvate da 3 brevi momenti strumentali posti in apertura e nel mezzo, sono infatti praticamente perfette, capaci di colpire al cuore e di portarci nella stanzetta di Bridie per vivere con lei i primi amori e i pensieri a volte euforici e più spesso malinconici dell’adolescenza. È così fin dall’iniziale B a noBody, impreziosita dal piano e rinforzata da metà in avanti da un crescendo delicato ma ficcante, lo è ancora di più nella successiva Blud, dove il sentimento è spiegato con semplicità, come sempre dovrebbe essere del resto, dicendo “You’re in my blood/I’m in your blood/let’s just forget” su una melodia altrettanto semplice ma a cui non serve altro. Si prosegue poi con Wait, più eterea e minimale, piano e un’ombra di percussioni sullo sfondo, e con Sea Creatures, dove fa capolino l’elettronica ma il risultato non cambia, capolavoro pop come gli altri. Nella seconda parte del disco la meraviglia non cessa, ad esempio con l’arrangiamento dark-folk minimale che sostiene la notturna 24 Windowed House, con l’uptempo di Garden oppure con le rarefazioni di Oh Brother, dove Bridie sperimenta anche con la voce rivelando doti fatte solo intravedere negli altri brani.

È nata una stella.

SOAK – Sea Creatures

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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