venerdì, Aprile 19, 2024

The Saints: l’intervista esclusiva in attesa del concerto di Torino

The Saints, uno dei gruppi seminali del Punk, saranno in Italia dal vivo il 5 Dicembre prossimo allo spazio 211 di Torino in Via Francesco Cigna 211 – Torino, un concerto da non perdere, per l’occasione Fabio Pozzi ha intervistato Chris Bailey in esclusiva per indie-eye.it

Chris Bailey è l’anima dei Saints, uno dei gruppi chiave del punk, capace di anticipare il suono della rivolta targata 1977 agendo non nella Londra che bruciava ma nella lontana Australia, in tempi in cui per procurarsi un album non bastava un semplice clic, ma anche un gruppo capace di rinnovarsi e di non diventare una delle tante macchiette in giro ancora oggi a suonare gli stessi pezzi di quarant’anni fa con gli stessi vestiti di tre taglie più grandi. In questi decenni il suono della band si è infatti evoluto, esplorando in lungo e in largo il rock’n’roll, dalle radici blues alle evoluzioni hard passando per il soul più viscerale. Ciò che è rimasto invariato è l’ottimo songwriting di Chris, una delle penne migliori della sua generazione, sulle orme di Johnny Thunders e, perché no, Neil Young. In questi giorni Bailey sta per tornare in Italia assieme ai suoi sodali per una serie di date che promettono di rinnovare lo status di culto che il gruppo si è guadagnato. Nell’attesa di vederlo in azione il 5 dicembre allo Spazio 211 di Torino, il 6 al Freakout di Bologna e il 7 al Sinister Noise di Roma l’abbiamo contattato per parlare un po’ delle date in arrivo, della riedizione di King Of The Sun e di molto altro…

Iniziamo parlando di King Of The Sun/King Of The Midnight Sun, il nuovo album che è una riedizione di King Of The Sun con in aggiunta un secondo disco in cui le canzoni sono risuonate con un approccio più diretto, come in un live. Come ti è venuta l’idea per questo tipo di riedizione?
Quando ho iniziato a parlare con l’etichetta a Londra, la Fire Records, della riedizione dell’album, che non era più disponibile nella sua edizione originale, abbiamo pensato di fare qualcosa di speciale per il pubblico europeo. Abbiamo parlato un po’ e sono venute fuori delle idee mentre bevevamo qualche drink poi, quando mi sono svegliato la mattina dopo in hotel ho pensato di fare questa cosa, una specie di live. Questo perché King Of The Sun è un disco molto di studio. Quindi ho pensato che le canzoni meritassero anche di essere ascoltate in una versione diversa, più simile a quella di un live, per far capire le loro due anime. Quindi l’idea è nata così, di base.

Come mai non avete pensato di fare invece un vero e proprio live album registrato in un locale con il pubblico?
Perché quella era un’idea specifica, legata direttamente e solo a quel disco. Mi piacciono i dischi live e probabilmente ne faremo uno l’anno prossimo, ma questa volta volevo sviluppare proprio quell’idea. Spesso hai delle idee che funzionano, altre volte invece funzionano meno, però devi provare. Penso che questa volta l’idea abbia funzionato.

Tra le canzoni del disco ce n’è una secondo te che migliora molto nella seconda versione? E una invece che secondo te perde qualcosa?
Ci ho pensato abbastanza, ma in realtà non lo so. La musica è una cosa molto soggettiva, qualche volta puoi apprezzare una canzone che invece poi odi se sei nel mood sbagliato. Quindi cambio idea spesso: per esempio ora penso che King Of The Sun sia migliore nella versione in studio, mentre canzoni come Adventures In The Dark Arts Of Watermelonery mi piacciono molto di più nella versione live che in quella originale. È difficile scegliere per me, può anche capitare che le canzoni su cui ti senti più preparato poi durante il live vengano male, per mille motivi diversi.

Quindi cosa dobbiamo aspettarci dai concerti italiani di settimana prossima?
Naturalmente il suono sarà simile a quello del disco live, mentre per quanto riguarda il materiale faremo anche canzoni che non facciamo praticamente mai dal vivo. Abbiamo discusso su cosa fare, e ovviamente siamo molto orgogliosi dell’ultimo disco, ma al tempo stesso in questi decenni abbiamo accumulato tantissime canzoni tra cui scegliere, ed è bello variare ogni tanto.

Pensando al mio gusto personale, ti chiedo se farete anche qualcosa da Spit The Blues Out, un disco che mi piace molto e che trovo sottovalutato…
È divertente il fatto che tu me l’abbia chiesto, perché ne ho parlato in questi giorni con il batterista e anche a lui piace molto quel disco. Quindi se me lo chiedete in due faremo sicuramente qualcosa…

Suonerete anche i pezzi classici degli anni 70? Cosa pensi quando li suoni?
È strano, per molto tempo non ho suonato molti pezzi di quel periodo, ho ricominciato solo negli ultimi mesi. Per esempio la scorsa settimana abbiamo suonato a Parigi e non avevamo messo in scaletta (I’m) Stranded ma poi l’abbiamo fatta decidendo sul palco. Non la suonavamo da un po’, quindi era un po’ arrugginita. Contrariamente a quanto molta gente può pensare, non mi interessano così tanto le canzoni vecchie e non ho timore verso di esse, anzi mi sento fortunato a poterle interpretare come penso che debbano suonare ora.

I Saints hanno avuto molte vite diverse, segnate da cambiamenti di organico e anche di suono. C’è qualcosa che invece non è mai cambiato nella musica dei Saints e nel tuo songwriting dagli anni Settanta a oggi?
Lo spero. Quando scrivi canzoni può sperimentare molto con i generi e con il tuo modo di scrivere, questo è assolutamente vero. Per quanto riguarda i Saints, voglio che ogni disco sia un po’ diverso dal precedente, ma al tempo stesso ho bene in mente quale deve essere il cammino della band. Penso quindi che un brano di King Of The Sun non possa stare su Eternally Yours o su Spit The Blues Out, ma che comunque si senta e si noti una certa integrità in ciò che faccio, che tutte le canzoni fanno parte di un unico grande discorso.

A proposito di classici dei Saints, Bruce Springsteen ha fatto una cover della vostra Just Like Fire Would sul suo ultimo disco. Cosa hai pensato quando l’hai saputo? E che ne pensi della sua versione?
Quando l’ho saputo sono rimasto piuttosto sorpreso! Sapevo che l’aveva suonata dal vivo, quindi un mio amico è riuscito a farmelo incontrare l’anno scorso. Ciò che mi ha sorpreso di lui è che è veramente una persona semplice, non è per nulla presuntuoso, è come lo si vede sul palco, un bravo ragazzo. Gli ho detto che ero rimasto impressionato dalla sua versione e lui mi ha risposto “ho solo fatto una cover, la canzone è tua”, con grande umiltà. Una parte di me è ancora sorpresa che, tra tutte le canzoni scritte al mondo, abbia scelto proprio una dei Saints. Quando ho scritto la canzone pensavo a tutto tranne che al rock americano, ero da solo in tour, in giro per la Francia durante l’estate, ma quando ho sentito la sua canzone mi è sembrato che fosse già dall’inizio una delle sue canzoni. Ha fatto una versione ottima, e penso anche che abbia compreso appieno anche il senso del testo, lo si capisce dalle pause e dagli accenti che mette sulle parole.

Sempre parlando dell’America, penso che molte delle tue influenze vengano proprio da lì, il rock’n’roll, il blues, il soul e anche il country. Hai vissuto un po’ ovunque nel mondo, ma hai mai pensato di trasferirti proprio negli Stati Uniti?
Non ho mai pensato di vivere lì, mi piace molto, sono stato spesso soprattutto a New York e Los Angeles, ma non ho mai pensato di trasferirmi. Con i Saints un po’ di successo lì l’abbiamo ottenuto, ma il music business da quelle parti è davvero qualcosa di enorme e forse non adatto a noi. Per quanto riguarda la musica, il rock’n’roll per quelli della mia generazione è stato importantissimo, quando ero un ragazzino volevo essere come Nina Simone o Otis Redding; mi piace il blues e mi piace abbastanza anche il country, perché ci sento le sue origini europee, irlandesi e scozzesi in particolare, ma anche italiane, perché il folk italiano e di altri paesi europei non è così distante da quei suoni. Tutta la musica europea ha influenzato quella americana, che poi grazie al mix con quella nera proveniente dagli schiavi è diventata quello che è. È questo il bello della musica, forse non tutti se ne rendono conto guardando le grandi rockstar, ma tutto viene da piccoli posti sparsi per il mondo.

Ora vivi in Olanda, ad Amsterdam, ma in precedenza, come abbiamo detto, hai vissuto un po’ ovunque, dall’Australia alla Svezia. Il luogo in cui ti trovi ha influenza in qualche modo sulle canzoni che scrivi?
Sì, ora vivo in Olanda, ma in realtà non so perché, sono qui perché la mia fidanzata mi ha detto di farlo. Non credo che i luoghi in cui vivo abbiano effetti di questo tipo, ci ho pensato molto. Pensa a Bruce Springsteen, che abbiamo citato poco fa: quando ascolti le sue canzoni ci senti il New Jersey, l’America, è musica legata ad un luogo. Sono molto invidioso di questo, perché è un tipo di suono che ho sempre sognato di avere: io sono irlandese, anche se tutti pensano che io sia australiano, ma ogni volta che vado in Australia devo fare un visto, quindi ho vissuto praticamente tutta la vita in paesi che non sono quello da cui io provengo. Quindi tutte le canzoni che ho scritto non vengono da un luogo preciso, nemmeno quelle dei primi Saints, che sono nate in Australia ma non credo fossero influenzate dall’Australia. Anche ora sono certo che ciò che scrivo non abbia influenze geografiche, cioè non credo che le canzoni di King Of The Sun siano legate all’Olanda, oppure alla Francia, che è una nazione che visito spesso e che mi piace. Quindi il luogo per me è il ventunesimo secolo, abbiamo vissuto in un villaggio globale per molto tempo ormai e penso che ormai tutti prendiamo spunto da dovunque.

Cosa ascolti in questo periodo?
Ho la peggiore collezione di dischi del mondo. Non ho molti dischi, ma con internet esploro abbastanza: ascolto molta musica classica e anche molto trip hop. Non ascolto degli artisti in particolare, se sento qualcosa che mi piace in rete o alla radio poi approfondisco un po’

Progetti per il futuro?
Abbiamo due progetti a breve termine: il primo è quello di suonare molto, cercheremo di essere soprattutto una live band nel 2015, per poi fare un nuovo disco, per cui ho già un po’ di materiale.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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