Una processione di barchini che scivolano lenti nei canali veneziani, il riverbero dei suoni che si riflette sull’acqua, il pubblico che segue. La promessa di un vero e proprio stato di trance che segue con gli occhi e con il corpo la traiettoria di un rituale destinato a trasformare la laguna in uno strumento musicale. È questa l’immagine evocativa da cui partire per immaginare Cry of Our Guardian Star, l’attesa performance site-specific che Chuquimamani-Condori presenterà l’11 ottobre 2025 alla Biennale Musica diretta da Caterina Barbieri.
Il Leone d’Argento per la Musica di quest’anno ha scelto Venezia come spazio liminale, dove acqua e suono diventano medium per una cerimonia contemporanea capace di celebrare l’ascolto collettivo.
La serata culminerà nella performance dal vivo di Los Thuthanaka, il duo formato da Chuquimamani-Condori e dal fratello Joshua Chuquimia Crampton, davanti all’Isolotto dell’Arsenale.
Chuquimamani-Condori: identità, memoria, futuro
Conosciutə in passato come Elysia Crampton, l’artista appartiene alla nazione Pakajaqi del popolo Aymara e ha fatto della sua pratica musicale un atto di memoria e resistenza. La sua produzione attraversa elettronica, club culture e tradizioni folk, componendo paesaggi sonori massimalisti che sembrano tenere insieme il caos e la guarigione.
Il recente album Los Thuthanaka (2025) è stato accolto con entusiasmo dalla critica internazionale, che in molte occasioni ha sottolineato la capacità del duo di stratificare poliritmie, melodie sintetiche e collage di field recordings in un’architettura sonora densa e coinvolgente.
Al centro del progetto c’è una tensione fertile, da un lato la necessità di rievocare cerimonie d’acqua, musiche comunitarie in cui “quaranta bande suonano insieme per richiamare la nostra stella, Chuqui Chinchay” (come ha dichiarato l’artista in un’intervista), dall’altro l’uso consapevole della tecnologia digitale, che diventa strumento per re-immaginare il suono in chiave futuribile.
La musica di Los Thuthanaka: densità, temporalità, resistenza
La pratica sonora di Chuquimamani-Condori e Joshua Chuquimia Crampton si colloca in una zona di confine tra sperimentazione elettronica e cosmologia indigena. A differenza di molta musica elettronica occidentale, che tende a organizzare il tempo in sequenze lineari e metriche, Los Thuthanaka propone una temporalità circolare e stratificata, che rimanda a ciò che alcuni studiosi definiscono temporalità indigena. Qui il suono non è un vettore di progressione, ma una forma di ritorno, di accumulazione ciclica, in cui le melodie e i ritmi si sovrappongono fino a generare un senso di vertigine.
Critici come Brandon LaBelle hanno parlato del suono come “tecnologia relazionale”, capace di instaurare comunità effimere nello spazio dell’ascolto. In Los Thuthanaka, questa tecnologia prende corpo attraverso un “collage massimalista” che, pur nella sua apparente cacofonia, produce un effetto di coesione collettiva. È il principio delle cerimonie Aymara, in cui diverse bande suonano simultaneamente melodie differenti. Ciò che allora in prospettiva occidentale può sembrare dissonanza diventa, in chiave comunitaria, un tessuto sonoro unitario.
La sfida estetica e politica è quella di rifiutare l’idea di armonia come riduzione del molteplice, e abbracciare invece la complessità come atto di resistenza. Questa dimensione si collega a quanto scrive Jacques Attali in Bruit, quando interpreta la musica come “profetica del sociale”, capace di anticipare forme di convivenza e conflitto. Il suono di Los Thuthanaka, con la sua densità eccessiva, non solo rappresenta ma mette in atto una politica dell’ascolto, perché ci costringe a negoziare la nostra posizione, a trovare un orientamento in un paesaggio che sfugge alle gerarchie.
Vera e propria un’estetica del sincretismo sonoro, un processo in cui elementi folk, elettronici e club si intrecciano senza annullarsi, mantenendo ciascuno la propria specificità. Il risultato non è una fusione omogenea, ma un paesaggio polifonico che riflette la complessità delle identità diasporiche e indigene contemporanee.
La ritualità sonora e l’acqua come soglia
Per comprendere la portata di Cry of Our Guardian Star è utile pensare alla performance non solo come concerto, ma come rito processionale. L’acqua, elemento centrale nelle cosmologie Aymara, a Venezia diventerà medium e scenografia, un luogo di passaggio tra mondi, capace di connettere viventi e antenati, storia e presente.
La letteratura sull’ecologia acustica, da Murray Schafer a Hildegard Westerkamp, ci aiuta a inquadrare l’esperienza: il soundscape della laguna non è semplice fondale, ma un attore attivo che dialoga con il suono diffuso dalle imbarcazioni. La processione diventa così un “rituale itinerante”, un viaggio nel paesaggio sonoro di Venezia in cui il pubblico si muove nello spazio, partecipa, si lascia attraversare.
Questa dimensione site-specific richiama anche la tradizione della sound art contemporanea dove al centro c’è l’idea che il luogo non sia neutro, ma un generatore di significato. Qui la laguna diventa strumento di amplificazione, superficie di rifrazione e corpo risonante.
L’idea dei barchini è venuta a Caterina Barbieri, dopo aver visto il film Atlantide di Yuri Ancarani, di cui abbiamo parlato da questa parte su indie-eye Cinema.
Cosa aspettarsi dall’evento
Chi parteciperà a Cry of Our Guardian Star vivrà un’esperienza che mescola contemplazione e immersione fisica. La processione di barche sarà un prologo sonoro diffuso, un invito ad accordarsi su un ascolto collettivo. Mano a mano che ci si avvicina all’Isolotto dell’Arsenale, la densità sonora aumenterà: poliritmie stratificate, loop digitali, frammenti melodici che emergono e scompaiono, voci processate e suoni ambientali catturati in tempo reale.
Ci si può aspettare momenti di trance e di sospensione, alternati a passaggi di energia percussiva.
La disposizione all’aperto permetterà al suono di “respirare” insieme alla città, lasciando spazio agli echi, ai silenzi, ai rumori della laguna. È probabile che il pubblico non sia solo spettatore, ma parte di un rito di passaggio che lega l’atto musicale a un’esperienza di trasformazione collettiva.
Sul piano politico e simbolico, il progetto ha la forza di portare nella laguna una cosmologia altra, un pensiero anticoloniale che parla di resistenza e di riappropriazione del rito.
È un atto di “ri-sintonizzazione” tra pubblico e ambiente, tra Europa e Ande, tra passato e futuro.
Per questo, più che assistere, sarà importante partecipare; portare un ascolto attivo, muoversi con la processione, percepire i cambi di timbro, l’interazione tra suono e città.
Per un’ora, Venezia diventerà un luogo di risonanza collettiva, un tamburo d’acqua in cui la musica di Chuquimamani-Condori riecheggerà come un richiamo alla stella guardiana.
Il corteo musicale d’acqua per nove barchini e altoparlanti è in programma l’11 ottobre 2025 alle ore 18:00
La Performance dal vivo del duo formato da Chuquimamani-Condori e dal fratello Joshua Chuquimia Crampton è prevista per le 18:30 dello stesso giorno






