sabato, Aprile 20, 2024

Wooden Wand – Farmer’s Corner: la recensione

Farmer’s Corner è l’ultimo album di James Jackson Toth dato alle stampe con il nome di Wooden Wand. Non si tratta del solo moniker di cui Toth può rivendicare la paternità; si affiancano Wooden Wand and The Vanishing Voice, The Blood Group, Wooden Wand and The Briarwood Virgins e altri ancora. Che i numerosi cambi di nome siano un vezzo o la resa esteriore della profonda inquietudine dell’animo di Toth, resta il fatto che Toth ha prodotto dal 2005 ad oggi circa 20 fra LP e EP avvicinandosi alla medesima cadenza del connazionale Robert Pollard.
Musicista dal cuore nomade, Toth non ha perso questa occasione accreditare questa tendenza e Wooden Wand si articola come risultato di scritti itineranti, nati durante spostamenti che hanno attraversato il Kentucky, Nashville e St, Louis toccando quattro diversi studi di registrazione in compagna di altri musicisti quali il chitarrista William Tyler, Doc Feldman e il bassista Darin Gray. Un viaggio che non accenna a finire e, anzi, sposta ogni volta il punto di arrivo più lontano di modo da garantire un continuo ed eterno andare a questo cavaliere che si aggira in un fantomatico wild west senza eroi, la chitarra a guisa di bluesman e un occhio nostalgico a Neil Young. Nove tracce di sinuoso alt-country, melodico talvolta intriso di blues (Gone To Stay), solcato con garbo da qualche ruga elettrica (Adie) ma per la maggior parte delle volte ben saldo all’immaginario contadino (Alpha Dawn). Farmer’s Corner suona come un lavoro acustico, riflessivo per via dei ritmi blandi e avvolgenti, laconico e incisivo nei testi, a dimostrare come suono e sensibilità possano fondersi fino a diventare una cosa sola. Fendendo stati d’animo avversi e contrastanti, Toth percorre i sentieri tortuosi che conducono ad una Uneasy Peace, segna i confini dei covi solitari in Dambuilding fino a consegnare all’armonica di Sinking Feelings i pensieri più lieti. Farmer’s Corner gioca la sua bellezza sulla lunga distanza, sulla fruttuosità del tempo e sulla meraviglia che il suo sedimentarsi può portare; è un disco da centellinare a più riprese e da ascoltare in luoghi dove le pareti non hanno orologi o, meglio ancora, dove le pareti scompaiono, lasciando intravedere solo distese di campi e un sole in costante tramonto.

 

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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