martedì, Marzo 19, 2024

Mark Knopfler, il sultano del rock al Lucca Summer Festival: la recensione del concerto

Non importa quante volte l’hai visto in concerto, quante canzoni faccia dei Dire Straits quando Mark Knopfler fa il suo ingresso sul palcoscenico imbracciando una delle tante chitarre la nebbia si dissolve e ti trovi come i protagonisti di Local Hero pronto a procedere nel viaggio con un coniglio seduto sul sedile posteriore. Mark lancia il suo incantesimo, qualcosa di indefinibile è cambiato, è come entrare in un sogno.

Alle sue spalle una band di dieci elementi di cui lui è chiaramente innamorato, prima di presentarli uno a uno dichiara di essere invidioso anche solo un pochino di questi straordinari polistrumentisti soprattutto quando suonano cose strane che lui neanche sa nominare, come il bouzouki e le uilleann pipes, la caratteristica zampogna irlandese. Ma Mark ha la sua Stratocaster rosso sangue, vista nella vetrina di un negozio di Newcastle da adolescente, la chitarra che gli avrebbe dato il sacro fuoco, la prima di una lunga lista.

Inesorabile, alle nove sale sul palco, quando ancora gli spettatori si agitano per trovare il loro posto, Piazza Napoleone è gremita. “Sailing to Philadelphia” lascia intuire la turbolenza emotiva che presto potrebbe scatenarsi nell’animo di ogni ascoltatore, e quel momento non tarda ad arrivare con “Once Upon A Time In The West” che fu interpretata per l’ultima volta da Dire Straits nel 1983, trentasei anni fa.

L’assolo del sassofonista Graeme Blevins prelude a “Romeo and Juliet“, è un’esplosione di applausi, novemila persone grate si alzano in piedi per tributargli il loro sincero entusiasmo.
Mark Knopfler si siede e racconta la genesi dell’ultimo album, Down the Road Wherever, una raccolta di racconti in cui ogni canzone ci porta in un altro pezzo di mondo rivelando di volta in volta lo sguardo indiscreto dell’autore per i dettagli che lo circondano. Un’incursione nel presente che ci permette di scorgere l’incredibile storia di questo nativo di Glasgow che ha visto la cessazione dei Dire Straits trent’anni fa, ha lavorato con una serie di artisti meravigliosamente eclettici, da Tina Turner a Bob Dylan, ha scritto una serie di colonne sonore e ora, arrivato a settant’anni, non è ancora pronto al pensionamento, perché la parte migliore del processo creativo di una canzone è suonarla dal vivo, come ammette lui stesso, quasi sussurrando là dall’alto del suo palcoscenico.

Mette da parte Gibson e Fender per la sua National Steel e insieme a McCusker e McGoldrick attaccano “Done with Bonaparte“, dal suo primo album solista, trasportando il pubblico nella profondità di una terra dilaniata che ci appartiene.

Your latest trick” commuove, ma il tempo delle lacrime si chiude con un cambio di ritmo improvviso, Mark Knopfler e la sua band si spostano gioiosamente a sud e suonano “Postcards From Paraguay“, resa esplosiva dal battito delle percussioni di Danny Cummings, inducendo la folla sottostante a scatenarsi.

In questo gioco di contrapposizioni nel quale Mark ha ripercorso la sua storia, la conclusione è un atto d’amore, un regalo prezioso al pubblico, tre i bis che concede, “Money for Nothing“, “So far Away” e “Going home” da Local Hero, in un rituale collettivo in cui l’unica divinità da venerare è lui, Mark Knopfler, riconoscendo in questi brani opere fondamentali dell’intera storia della musica.

Francesca Fazioli
Francesca Fazioli
Laureata nelle discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo. Dopo una tesi sul teatro, sul cinema mai discussa e sull'ascolto per la conclusione del Master ho capito che la curiosità è diventata confusione. Adoro i concerti, la Signora del Venerdì e i libri di Jonathan Franzen.

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