venerdì, Aprile 19, 2024

Chapelier Fou – Al Abama (Ici d’ailleurs, 2011)

Se tu conoscessi il tempo come lo conosco io – risposte il Cappellaio – non diresti che lo perdiamo”.

Le parole del Cappellaio Matto sono probabilmente fra le più adatte per descrivere la sua trasposizione in lingua francese. Sotto il cappello di Chapelier Fou si trova Louis Warynski, polistrumentista ventiseienne originario di Metz. Dopo due anni di silenzio, esce Al Abama, prodotto per la stessa label (Ici d’ailleurs) con cui sono stati pubblicati i due Ep: Scandale e Darlin, Darling, Darling. Come nei precedenti lavori, in Al Abama si conserva la capacità alchemica dell’artista di mischiare la musica classica all’elettronica spingendo la contaminazione musicale molto più in là rispetto a quella del connazionale cui talvolta è associato; Yann Tiersen.
Come l’artwork dai richiami mondrianiani suggerisce, Al Abama è un album fatto di collage, pezzi campionati accostati gli uni agli altri che vanno a formare un quadro più completo, come fossero delle situazioni caleidoscopiche. Ogni traccia è fresca, inattesa, giocosa pur mantenendo quel tocco di malessere che solo il violino riesce a dare. Ascoltando l’Ep si ha veramente l’impressione che il tempo più che scorrere inizi a frullare, mietuto dentro il vortice elettronico e surrealista di analogico e digitale. È un violino suonato come fosse un Nintendo a scandire i brani; si parte dalla title track, un saliscendi picchiettato di scale disordinate degne di un quadro di Escher, le dita saltellano finché la polifonia non si assottiglia su suoni più asciutti. Mystérieux Message è tra i migliori risultati della sperimentazione, un suono campionato disturbato da un ronzio ciclico, da una registrazione ruvida e gracchiante forse proprio quel messaggio misterioso che titola la traccia così come avviene per La Bonne Orthographe, e il suo andamento ipnotico e catalettico, un incantesimo che viene rotto dal violino sul finire. Right Place And Time Left è la traccia più lunga fra le cinque totali e l’unica a essere cantata da voci umane e non espresse in bit. Hahahahaha richiude il lucchetto di questo diario segreto e onirico; quasi tre minuti cristallini e puliti, una declamazione sonora perfettamente scandita. Al Alabama riesce a forbire le melodie dal bacino a volte troppo abusato dell’elettronica spiccia, in perfetta assonanza con un’artista che è veramente un fourbe per i sensi.

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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