sabato, Ottobre 12, 2024

Cluster, l’intervista in eslcusiva

Intervista rilasciata dai Cluster a Federico Fragasso e Michele Baldini in occasione della loro data a Cascina (Fosfeni) il 19 marzo 2010

In quarant’anni di carriera la vostra musica ha sempre oscillato tra Pop e Avanguardia. Quali erano i vostri punti di riferimento quando avete cominciato? Quali, se ce ne furono, gli artisti che vi hanno maggiormente ispirato a intraprendere un determinato percorso artistico?

Dieter Moebius: in realtà quando abbiamo iniziato eravamo dei dilettanti a livello musicale, quindi quel che producevamo era soprattutto il frutto delle nostre limitazioni. Ovviamente avevamo anche dei punti di riferimento, da certo Jazz alla musica classica, fino ai Velvet Underground.

Hans-Joachim Roedelius: nel 1967 lavoravo come fisioterapista a Parigi. Fu lì che, per la prima volta, venni a contatto con l’opera di compositori contemporanei quali Pierre Henry e Iannis Xenakis.

Quindi, accademicamente parlando, non eravate dei veri musicisti?

Hans-Joachim Roedelius: no, siamo solo stati piuttosto fortunati!

La critica vi ha sempre accostato al movimento Krautrock. Molti degli artisti provenienti da quella scena si dichiaravano influenzati dall’opera di Karlheinz Stockhausen. È così anche per voi?

Dieter Moebius: direi di no, Stockhausen era troppo intellettuale per i nostri gusti.

Cosa significa Krautrock? È solo un termine forgiato dalla stampa oppure circoscrive effettivamente i caratteri comuni di un movimento?

Hans-Joachim Roedelius: a dire la verità non ci siamo mai sentiti parte della “scena” Krautrock. Forse ci siamo avvicinati ad essa con gli Harmonia, considerata la matrice più rock del progetto. Quello che facevamo con i Cluster, invece, non era nemmeno definibile rock.

Dieter Moebius: orasi tende a raggruppare tutto sotto un’unica etichetta, e siamo stati costretti ad accettare la nostra appartenenza alla scena. Se vi piace credere che siamo Krautrockers, allora ok, siamo Krautrockers! Ma non è questo che pensiamo.

Comunque avrete pur avuto qualche contatto con gli altri musicisti della scena.

Hans-Joachim Roedelius: ovviamente li conoscevamo tutti, con alcuni di loro abbiamo anche registrato alcune sessions. Con i Kraftwerk, ad esempio, prima che diventassero famosi con Autobahn. All’epoca si facevano ancora chiamare Organisation.

A questo proposito, potreste parlarci della vostra collaborazione con Michael Rother (Neu!, Harmonia)? In che modo ha influenzato il vostro approccio alla materia musicale?

Hans-Joachim Roedelius: l’influenza di Michael è evidente su Zuckerzeit. Il suo stile musicale ci ha fondamentalmente introdotti al Pop. Più o meno.

Esistono almeno altri due personaggi di spicco nella vostra storia: il produttore Connie Plank, il fan entusiasta e in seguito collaboratore Brian Eno. Che cosa vi hanno trasmesso?

Dieter Moebius: la nostra collaborazione con Plank è stata certamente più significativa di quella con Eno, fatta esclusione per il piano finanziario. Gli album registrati con Eno ebbero molto più successo dei precedenti.

Hans-Joachim Roedelius: ma anche quelli furono prodotti da Connie Plank. Connie era un amico, ed è stato a tutti gli effetti il terzo membro dei Cluster. Ha anche continuato a lavorare con Moebius quando io avevo già lasciato la Germania.

Qual è il vostro rapporto con il pubblico? Come vi ponete nei confronti della dimensione live?

Hans-Joachim Roedelius: la dimensione live è sicuramente la più importante nell’ambito di quello che facciamo. Cerchiamo in effetti di valorizzare ogni singolo concerto. Penso che sia fondamentalmente questo il mezzo tramite cui costruire un rapporto con il proprio pubblico.

Dieter Moebius: in Italia però il pubblico chiacchiera in continuazione!

Hans-Joachim Roedelius: solo nei concerti in cui si sta in piedi, non quando ci sono i posti a sedere.

Chiacchierano anche mentre suonate?

Hans-Joachim Roedelius: A volte. Lo scorso dicembre abbiamo fatto un concerto a Napoli, di fronte a un sacco di persone. Dopo sono venuti tutti a complimentarsi con noi per come avevamo suonato. Mi chiedo cosa abbiano potuto capire, visto che parlavano ad un volume più alto delle nostre casse!

Riguardo al vostro rapporto con il pubblico, in che modo eravate recepiti all’inizio degli anni ’70? Avete goduto di un vasto successo di pubblico?

Dieter Moebius: a volte è stato complicato, non tutti i concerti suscitavano apprezzamento. Eravamo davvero rumorosi, per di più le nostre performance erano prevalentemente delle lunghe improvvisazioni. Tuttavia, pur producendo musica ostica, in qualche occasione siamo riusciti a comunicare con gli spettatori in maniera efficace.

Hans-Joachim Roedelius: ad ogni concerto il pubblico ci ha sempre prestato molta attenzione, anche quando ci sembrava di suonare male. La percezione dello spettatore fornisce un diverso punto di vista riguardo a quello che fai.

Dieter Moebius: all’epoca non era certo una musica facile da ascoltare. Adesso tutti sono abituati a questo tipo di suoni, ma allora era difficile anche solo capire quello che stessimo cercando di fare.

Quale fattore vi ha portato a scegliere di utilizzare una strumentazione prevalentemente elettronica?

Dieter Moebius: il nostro desiderio era semplicemente quello di fare musica. Non essendo dei professionisti, abbiamo sperimentato con ogni possibile fonte di suono. Per esempio, provavamo ad utilizzare solo organi, ma li passavamo attraverso distorsioni, pedali wah, o anche effetti che i nostri amici creavano appositamente per noi. La nostra voglia di sperimentare nuovi suoni nasceva proprio dalla mancanza di una formazione accademica.

Hans-Joachim Roedelius: volevamo semplicemente trovare un linguaggio che fosse solo nostro.

Dieter Moebius: anche i nostri cambi di stile, da Industrial a Pop e viceversa, derivavano da un maggior grado di consapevolezza rispetto a quel che facevamo. Ad ogni concerto accumulavamo esperienza.

Hans-Joachim Roedelius: mi pare che la prima recensione di una radio italiana definì il nostro stile come Tone Art. Credo sia un’etichetta appropriata per quello che facciamo.

Ascoltate la musica elettronica che viene prodotta oggi? Esistono artisti, tra quelli attuali, che apprezzate in particolar modo?

Dieter Moebius: ci capita di ascoltare altri artisti elettronici solo dal vivo, quando ci esibiamo insieme a loro durante i grandi festival. Personalmente non ascolto musica elettronica nel privato.

Hans-Joachim Roedelius: al momento ascolto prevalentemente musica tradizionale sarda, mi piace Luigi Lai. Questo tipo di musica ti rende conscio dell’importanza delle regole. Probabilmente in futuro ci concentreremo maggiormente sulle regole, così da comunicare tramite un linguaggio accessibile a tutti, almeno a tutti quelli che conoscono la musica elettronica.

Come vi rapportate ad altre forme di espressione artistica quali cinema, pittura, arti plastiche?

Hans-Joachim Roedelius: per citare un esempio italiano, alcuni anni fa ho collaborato con Roberto Castello del gruppo ALDES. Al di fuori della musica sono molto interessato al teatro danza.

Dieter Moebius: ho studiato arti grafiche e realizzato personalmente la maggior parte delle copertine per i Cluster. Sono molto interessato ad altre forme d’arte come pittura e cinema. Non alla danza, che invece piace a mia moglie.

Avete mai realizzato colonne sonore?

Dieter Moebius: mi sono occupato della colonna sonora di un film poliziesco tedesco.

Hans-Joachim Roedelius: ho realizzato prevalentemente colonne sonore per documentari. Uno di questi ha anche vinto un oscar. Si chiamava Witness to War, la storia di un reduce del Vietnam che dedica la sua vita alla professione medica in El Salvador.

Dieter Moebius: qualche anno fa mi trovavo in Italia, a casa di un amico. Dalla stanza accanto proveniva il rumore di una televisione accesa e ad un certo punto abbiamo sentito un pezzo dei Cluster. Siamo andati a controllare: sua madre stava guardando un documentario sulla povertà in Italia!

Qual è la vostra percezione della situazione politico-sociale nel mondo, nel vostro paese, o anche nel nostro?

Hans-Joachim Roedelius: del vostro preferiamo non parlare!

Ritenete che sia importante assumere una posizione militante oppure vi considerate al di là di queste cose?

Hans-Joachim Roedelius: credo che il porsi autenticamente come facciamo noi costituisca un atto politico in sé.

Dieter Moebius: siamo interessati a tutto quel che succede sulla terra. Se poi questo traspare nella nostra musica non è certo una premeditazione. Si tratta semmai di qualcosa di istintivo che proviene dalle viscere.

Ritenete che la musica commerciale possa avere una qualche valenza artistica, oppure no?

Hans-Joachim Roedelius: alcuni pezzi sono interessanti.

Dieter Moebius: mi piacciono solo alcune delle cose che sento alla radio. Altre sono davvero una merda!

E del mezzo televisivo cosa pensate?

Dieter Moebius: la TV è prevalentemente merda, specialmente qui in Italia.

Come vi rapportate alle nuove tecnologie, sia riguardo all’uso che se ne può fare in ambito musicale, che in termini di vita quotidiana?

Dieter Moebius: non posso che rallegrarmi dei risultati raggiunti negli ultimi anni dai software musicali. Sono strumenti accessibili a tutti, permettono di risparmiare spazio e denaro. Considerata la mole di attrezzatura che dovevamo portarci dietro ai nostri tempi, l’idea di un tour in aereo era assolutamente inconcepibile. Per quel che riguarda la vita di tutti i giorni, adesso non potremmo nemmeno immaginare di lavorare senza l’ausilio di Internet!

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker, un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana e un Critico Cinematografico iscritto a SNCCI. Si occupa da anni di formazione e content management. È un esperto di storia del videoclip e del mondo Podcast, che ha affrontato in varie forme e format. Scrive anche di musica e colonne sonore. Ha pubblicato volumi su cinema e new media.

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