Come ti poni nei confronti di questo recente ritorno in voga degli anni ’80? Musicalmente anziché cavalcare furbescamente l’onda, come molti avrebbero potuto fare, mi sembra che tu abbia continuato a seguire un percorso del tutto tuo, se vogliamo anche più legato a una certa classicità di canzone d’autore pur non rinunciando a certe tue cifre sonore
Io vado avanti per la mia strada, ho un rapporto di indifferenza con questa moda, per me quegli anni sono stati importantissimi, mi hanno dato grande visibilità permettendomi di fare quello che io credo sia il lavoro più bello del mondo. Non ho, in ogni caso, nostalgia di quel tempo, vivo nel 2010 quasi 2011 e vivo la mia attualità. Il mio bagaglio e i miei modi si vede che arrivano da là e questo è del tutto naturale.
Non pensi che per te sia naturale sentirli superati, archiviabili, proprio perchè li hai vissuti in prima persona mentre per molti giovani che fanno musica oggi, attingere agli 80s sia sintomo di una volontà di ripartire da dove tutto, come tu prima hai anche sottolineato, è andato decadendo? Non ricordo nulla dei 90s di così fondamentale culturalmente come invece è stata negli anni ’80, erroneamente tanto bistrattati, la diffusione, ad esempio, di nuove idee sulla performance (cose folli anche, come intere esibizioni in playback)
La gente parla sbagliando di anni di plastica, ma la plastica c’era anche nei ’70 e ancora prima nei ’60, c’è sempre stato chi ha voluto fare cose culturamente importanti, comunicative, originali, e chi invece si è limitato a giocare, anche a fingere, o a fare quello che gli veniva detto di fare. Basta pensare a certe cose che uscivano in Italia nei ’70 che si spacciavano come nuove mentre erano solo copia di quanto accadeva negli USA o in UK. Verità e plastica hanno sempre convissuto, in tutte le epoche. Negli anni ’80 ci sono state cose essenziali, culturalmente importanti anche a livello sociale, di costume, cose oneste, accanto a cose pessime e vacue, certa dance italiana, voci prestate agli altri, molta finizione. Come hai detto correttamente i 90s sono stati abbastanza un buco nero, la fine dei movimenti, nulla di aggregativo, solo fenomeni, nulla di fondante, molta solitudine. Dici bene, naturale che i giovani, molti, vadano a riprendere qualcosa che era stato lasciato là, a recuperare l’anello mancante.
Tu con Discipline in qualche modo porti avanti questo progetto di recupero futuribile, dando spazio a giovani che fanno anche cose tra loro diversissime, è quasi un passaggio di testimone, come quello che c’è stato tra te e molte band con cui hai collaborato come ad esempio Subsonica e Bluvertigo che di certo si sono, nei loro lavori, ispirati molto anche a te
Sì, me lo hanno detto apertamente, io ne sono molto orgoglioso e credo sia proprio così che debba andare. Per quanto mi riguarda io sono davvero felice di permettermi di promuovere giovani che partono da un saldo punto di partenza per andare avanti con le proprie gambe. Nel mio percorso di vita non ho avuto figli purtroppo, per me lavorare con loro è anche un po’ un modo di averne, me li coccolo anche, questi ragazzi!
Nel cofanetto L’altra zona c’è un disco molto interessante particolare che per certi versi, nella sua sperimentazione, ricorda alcuni lavori di David Sylvian, si tratta di Up the line. E’un album molto diverso dai tuoi lavori precedenti e anche dai successivi, quasi un esperimento a sé
In quel momento mi ero stancato un po’della musica pop, volevo fare qualcosa di sperimentale, ho prodotto il lavoro di ambient music del duo Derivando e poi ho fatto Up the line, un altro modo per dare aria alla stanza, appunto per sperimentare un po’ per poi tornare al pop un po’ rinnovato, con nuova linfa. Ogni tanto sento il bisogno di staccarmi da quello che faccio, imparare anche un modo nuovo per riportare poi tutto nel pop.