mercoledì, Gennaio 15, 2025

Krzysztof Penderecki; l’incontro: La fantasia del rispetto delle regole

Maestro, se la Sua musica un tempo era considerata d’avanguardia e oggi potremmo definirla “classica”, cosa può essere “avanguardia” o sperimentazione oggi secondo Lei?

Io non so se è classica, certo oggi può esser considerata tale. Avanguardia oggi può essere tutto! Guardiamo a cosa possono creare, ad esempio i pittori, come ha fatto Picasso. Per lui ha voluto dire semplicemente la ricerca di qualcosa di nuovo, lavorare con differenti metodologie.

Ma esiste una particolare relazione fra le forme e l’assenza di forme musicali? È forse quello il rapporto che intercorre fra avanguardia, sperimentazione e tradizione?

Certamente le forme in sé, prese come tali, hanno origine in quella che oggi è la musica classica, come da tutti conosciuta. Prendi la sinfonia o la forma sonata. Io stesso ho scritto composizioni che potevano rifarsi ad una forma “classica”, come la Passacaglia (i ribattuti di contrabbasso che costituiscono il tema portante di Shutter Island) o le mie Sinfonie o la Ciaccona. La Forma è stata dunque inventata 200-300 anni fa, ma si può “reinventare”. Le mie Sinfonie sono sicuramente diverse da quelle di Haydn. La forma “allegro-sonata” come la concepisco io è assolutamente differente, eppure nel linguaggio “classico” è la forma migliore concepibile.

Riguardo al Capriccio per oboe e 11 archi che verrà eseguito domani, esiste secondo Lei un rapporto con lo sperimentalismo per strumenti soli (mi riferisco alle Sequenze di Luciano Berio)? Come se nel Suo lavoro il concetto di virtuosismo fosse applicabile tanto allo strumento solo quanto alla sezione d’archi con cui interagisce?

Non è sbagliata come analisi. Ma più che a quel tipo di sperimentalismo io verso la fine degli anni ‘50 guardavo all’elettronica e, per quel che riguarda la produzione italiana, ammiravo molto Luigi Nono. Ricordo in particolare la sua declinazione politica e sociale della musica e il fatto che lui guardava alla Polonia come ad un Paese in cui si potesse realizzare il sogno comunista. Voleva portare le sue composizioni nelle fabbriche. Bene, da noi gli operai dormivano o giocavano a carte!  Mi ricordo poi che per un concorso in Italia nel 1958 partecipai con tre composizioni scritte tutte in maniera differente e vinsi tutti e tre i premi! Mi ci pagai il viaggio (e anche il passaporto).

Fra le altre domande, Penderecki gioca nel ricordare l’incontro con “Mr. Greenwood”, avvenuto nel più semplice dei modi possibili: un semplice scambio epistolare ed un invito rivolto all’allievo a casa del Maestro. Oltre a questo, il suo rapporto con la musica per film, che, precisa, lui non ha mai scritto e che conviene certamente non fare ad Hollywood perché “pagherebbero troppo bene” e, di conseguenza, “non si smetterebbe più di farla”, troncando, di fatto, qualsiasi altro desiderio di espressione artistica al di là della musica a programma.
Ma proprio in quest’insopprimibile desiderio di essere libero dalle regole e dalle forme, pur nel rispetto (apparente) delle stesse, Penderecki ha saputo trovare non solo un linguaggio personale “per sé” ma anche e soprattutto quel rinnovamento delle forme di cui ci ha narrato, così come, allo stesso modo, dirigere e condividere il palco con due personaggi “di massa” quali Greenwood e Aphex Twin è stato per lui, per suo stesso dire, “una Reinassance”.
In tale ottica va letta, dunque, la perfetta scelta del programma da parte dell’organizzazione NEM.

Francesco D'Elia
Francesco D'Elia
Francesco D'Elia nasce a Firenze nel 1982. Cresce a pane e violino, si lancia negli studi compositivi e scopre che esiste anche altra musica. Difficile separarsene, tant'è che si mette a suonare pure lui.

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