venerdì, Aprile 19, 2024

Ariana Delawari, l’intervista in esclusiva su Indie-eye.it

Ariana Delawari vive a Los Angeles ma è per metà Afghana e Siciliana da parte Materna; ha recentemente pubblicato un album intitolato “Lion of Panjshir” registrato tra Kabul e Los Angeles e uscito per la nuova etichetta di David Lynch, la David Lynch M C,  mixato dallo stesso con una produzione addizionale per un brano della raccolta intitolato “Suspend Me”. Abbiamo già approfondito l’ascolto dell’album su Indie-eye.it da questa parte, mancava il racconto diretto di Ariana, che ha concesso una lunga intervista per indie-eye.it, ricca di dettagli sulla lavorazione dell’album; buona lettura.

Ariana Delawari, sito ufficiale
Ariana Delawari, myspace
Il teaser trailer di Lion of Panjshir, diretto da David Lynch

Le fotografie dell’articolo sono di Lauren Dukoff; questo è il suo sito ufficiale

Puoi raccontare ai lettori di indie-eye gli inizi della tua carriera musicale e come sei arrivata alla registrazione di “Lion of Panjshir”, il tuo primo album?

Ho cominciato a suonare la chitarra quando avevo tredici anni. La musica è sempre stata la mia passione più intima; a scuola ho studiato cinema e letteratura. Dopo gli studi mi sono maggiormente concentrata sulla mia carriera di attrice e sono tornata dai miei genitori in Afghanistan; loro si erano trasferiti a Kabul dopo I fatti dell’11 settembre per essere d’aiuto nella ricostruzione del paese. I miei genitori si sono incontrati in Afghanistan negli anni 60; mio padre è Afghano, anche mia madre ma per metà ha origini Siciliane ed è cresciuta nel New Jersey. In quel periodo mentre documentavo I miei viaggi filmandoli e scattando fotografie, scrivevo musica in modo assolutamente personale, con la paura di condividerla perchè la percepivo troppo vicina al mio animo, troppo intima. Ho incontrato il mio amico Max Guirand nell’aprile del 2006 e abbiamo cominciato a suonare insieme. Alcune delle canzoni che sono state prodotte da questo incontro avevano una struttura folk con venature psichedeliche, altre erano più vicine ai viaggi fatti lungo l’Afghanistan. David Lynch ha assistito al nostro primo live nel dicembre del 2006 e pochi mesi dopo decisi di registrare l’album in Afghanistan dopo una telefonata di mia madre; dal tono della sua voce capivo che la situazione nel paese stava peggiorando e uno dei miei sogni è sempre stato quello di collaborare insieme ai musicisti della tradizione Afghana; in un certo senso vedevo questa opportunità affievolirsi, per questo ho deciso che avrei dovuto registrare la mia musica in Afhganistan. Tre mesi più tardi eravamo su un aereo diretto a Kabul. Mi chiedo se non sia davvero quest’album che abbia dato inizio alla mia carriera musicale, in un certo senso ho sentito di doverlo fare, una chiamata che ha coinvolto tutta la mia vita, non c’era altra alternativa nel mio animo.

Lion of Panjshir” è un progetto affascinante e complesso; in esso sembra che la tradizione della tua terra cerchi e trovi alcune risonanze nelle strutture popolari occidentali; pop, psichedelia, influenze Californiane; come si è plasmata questa trasformazione da un mondo all’altro?

“Lion of Panjshir” era inizialmente il nome della mia band. E’ il soprannome di Ahmad Shah Massoud, leader della rivoluzione Afghana, ucciso da Al Queda due giorni prima del 9/11. Le intenzioni di Al Queda erano quelle di indebolire l’Afghanistan. Massoud era un uomo incredibile; ricordo quando ho visitato per la prima volta la sua tomba nel Panjshir; la tomba è collocata in una collina all’interno della valle e tutt’intorno scorre l’acqua del fiume e si vodono montagne imponenti. “Panjshir” significa “cinque leoni”; Massoud era nato nella valle per questo era conosciuto con il nome di “Leone del Panjshir”. In un certo senso ho voluto creare un progetto che fosse legato al suo spirito; I miei antenati erano del Panjshir, per me è stato assolutamente naturale seguire questo percorso. Nella fase di realizzazione dell’album il mio approccio si è trasformato in quello di un’artista solista, ho deciso quindi di andare avanti con il mio nome e di chiamare l’album “Lion of Panjshir”. All’inizio del progetto, io e Max lavoravamo su strutture psichedeliche abbastanza selvagge; la versione demo di queste canzoni aveva la stessa struttura e lo stesso spirito, ma il suono che hanno adesso si è concretizzato solo quando siamo arrivati in Afghanistan per registrare. Con me ho portato I musicisti che mi accompagnano, ovvero Max Guirand e Paloma Udovic; Max suona la chitarra e Paloma il violino; avevo una tracklist di sedici canzoni o qualcosa del genere, con un ensamble di musicisti Afghani abbiamo lavorato solamente su otto e abbiamo passato alcuni giorni a provare prima di cominciare a registrare. Quando siamo tornati a Los Angeles ho chiesto a Christo Anastasio di co-produrre una parte dell’album, lui ha invitato Joachim Cooder e Robert Francis a suonare con noi alcune parti. Robert è un solista incredibile, nell’album ha suonato il basso, mentre Joachim suona la batteria, tutto il lavoro che ha fatto per il Buena Vista Social Club ci piaceva molto, è un batterista dal grande talento; in questo senso avevamo bisogno di un musicista che non coprisse con il suo drumming le canzoni Afghane; una volta registrate in questo modo c’era ancora qualcosa che mancava, ed è allora che ho deciso di coinvolgere il mio amico Carlos Nino. Carlos ha ascoltato le canzoni e ha ritenuto mancasse un tappeto d’archi, e cosi mi ha presentato Miguel Atwood Ferguson che li ha arrangiati per Her Legacy, Be Gone Taliban, e We Lived on a Whim. Carlos e Miguel sono intervenuti in un momento in cui ero abbastanza sfiduciata, e hanno portato tutto ad un nuovo livello; nel bel mezzo di tutto questo è arrivato David Lynch e ci ha detto “ Avrei dovuto produrlo il tuo album!” è così che gli ho fatto una controproposta; “cosa ne dici di produrre una sola canzone?!”; “è un ottima idea!”, ha risposto David, “trovane una buona per me”. Ecco che David ha prodotto “Suspend Me”. David ha poi mixato l’intero album, un risultato davvero incredibile; ha un orecchio e un talento straordinario per il suono; ha evidenziato aspetti molto importanti del materiale; gli ha dato un’aura del tutto particolare, rispettando e comprendendo in pieno quello che volevo dire.


Hai registrato la maggior parte di “Lion of Panjshir” a casa dei tuoi genitori, cosa è cambiato nel passaggio produttivo da Kabul a Los Angeles?

Le sfide sono state molte durante il processo di registrazione; tutta la fase di pre-produzione è stata una delle più faticose; telefonate, mail e contatti di vario tipo con mio padre, gli investitori in Afghanistan e Tolo Tv, la compagnia che ci ha permesso di utilizzare le attrezzature di registrazione; e oltre a questo tutti I rapporti con il consolato Afhgano a Los Angeles per ottenere I visti. Mio padre è stato fondamentale nella logistica; ha trovato lui I musicisti con I quali abbiamo suonato e quelli che usalmente suonano con me hanno dovuto convincere le loro famiglie per affrontare questo viaggio; tra l’altro due settimane prima di partire Max è diventato padre. Una volta a Kabul è successo di tutto; avevamo dei tempi molto precisi e stretti per utilizzare le attrezzature e abbiamo dovuto affrontare anche la mancanza totale e improvvisa di elettricità e il generatore che doveva salvarci morto anche lui d’improvviso! Risolta anche questa questione, c’era il problema di attutire il rumore della strada, abbiamo allora cominciato ad inchiodare ai muri la collezione di tappeti Afghani dei miei. A questo devi aggiungere il fatto che eravamo praticamente blindati ventiquattro ore al giorno, protetti da pareti, filo spinato e due guardie armate; tu immagina solo di registrare un disco in una situazione dove non puoi neanche fare un passo perchè la situazione dietro l’angolo è troppo pericolosa. E’ stato certamente intenso ma mi sentivo responsabile per l’incolumità dei miei amici, per questo ho lavorato in una condizione di stress abbastanza forte. Ero ovviamente preoccupata anche per gli anziani Ustad. Mio padre mi rassicurava dicendomi; “Ariana, vivono in Afhganistan, sono sopravvisuti in situazioni molto peggiori di questa session di registrazione!” Tra le molte difficoltà c’erano anche alcune barriere linguistiche, soprattutto con il nostro tecnico del suono, Coreano, gentilissimo, ma parlava solo la sua lingua madre; abbiamo dovuto trovare metodi molto inventivi per comunicare con lui! La cosa che alla fine conta è che persone di culture molto diverse tra loro si sono trovate nelle condizioni di comunicare insieme, soprattutto attraverso la musica. Finite le registrazioni siamo stati invitati a suonare la nostra musica in un accampamento dove viveva un gruppo di ex-commilitoni Francesi; è stato bello suonare per loro. In quei giorni ho anche contratto un’infezione batterica per aver mangiato dell’insalata, in Afhganistan l’acqua è a rischio di potabilità ed è importante stare lontani dalle verdure; sono stata ricoverata al mio ritorno a Los Angeles per una notte in corsia d’emergenza. Una volta fuori c’era da finalizzare l’album e la situazione di forte stress a Kabul ha fatto si che il nucleo originale della band si spezzasse, in questo senso mi sono trovata a finire l’album come solista; Max e Paloma hanno suonato nelle registrazioni ma per me erano più di un progetto. Ma sono comunque andata oltre e ho cominciato ad invitare musicisti come Robert, Joachim, Miguel per arricchire il risultato. Questo ha liberato nuove energie e il suono ha cominciato ad evolversi. Sfide ne abbiamo affrontate anche a Los Angeles certamente, ma non come quelle fronteggiate a Kabul. Certamente dover affrontare tutta quella tensione con I ragazzi della band mi ha stancata moltissimo. La registrazione di “Suspend Me” con David Lynch è arrivata poco dopo, ed è stata un’esperienza bellissima. Robert, Jochim e Paloma suonavano con me e David a un certo punto ci ha detto che avrebbe voluto pubblicare l’album per la sua etichetta; ero eccitatissima; insieme al suo ingegnere del suono, Dean Hurley ha preso tutto quello che avevamo registrato, tutto il nostro viaggio, e ne ha estratto tutta la bellezza.


Come hai incontrato David Lynch, e che tipo di influenza ha avuto il suo intervento sul suono complessivo del tuo lavoro?

Ho incontrato David dieci anni fa; fui invitata alla proiezione privata di un cortometraggio a casa sua. Non avevo realizzato veramente che tutto stesse accadendo proprio nella sua casa, e mentre mi giravo intorno camminando avevo questa strana sensazione di esserci già stata. Molto strano davvero, mi sentivo in un certo senso come se fossi a casa mia. Quando ho incontrato David si è rivelato come una persona gentilissima, un cuore davvero buono. Dieci anni più tardi, sua moglie Emily lo ha accompagnato al mio primo vero show al Silverlake Lounge. Ero nervosissima, sapevo che sarebbe venuto quella notte. Dopo lo show David disse a Emily che avrebbe voluto produrre il mio album; in realtà non ci credevo veramente. E’ stato solo quando abbiamo finito tutte le registrazioni che David è diventato parte del progetto, ovvero da quando abbiamo cominciato a lavorare insieme per “Suspend Me”. Ero d’accordo con tutte le sue osservazioni e I suoi consigli, che sono davvero poco consueti e incredibili per una collaborazione di tipo creativo. avevo la sensazione che sapesse esattamente che cosa volevo ottenere; penso che tu possa sentire davvero la sua influenza nel modo in cui l’album è stato mixato. Ha tirato fuori I suoni che erano già li in un certo senso e ha aggiunto una presenza di tipo quasi spettrale, minacciosa che penso sia del tutto appropriata per la storia dell’album.


Anche se il suono di Lion of Panjshir è un mix di influenze diverse, sembra che ci sia un elemento comune che potrei definire come una scultura di tempo e spazio; per esempio brani come “San Francisco”, o la bellissima “Be Gone Taliban” e ancora “The East” provengono da un mondo sonoro che possiamo riconoscere (tradizione, psichedelia etc.) ma si spingono oltre, verso territori astratti. Qual’era la tua idea iniziale quando hai scritto le canzoni? Hai pensato ad alcuni arrangiamenti con questo approccio in mente?

Sono influenzata da moltissimi e diversissimi generi musicali. Scrivo le canzoni con il mio cuore; ogni brano ha il suo mondo particolare. Il mio è un background legato alla recitazione, alla realizzazione di film e alla pesia, cosi quello che scrivo ha spesso la forma dell’immagine o quella del racconto. Non penso realmente in termini di stile, genere, arrangiamento. Scrivo quello che ho nell’animo e che voglio sentire. Il mio album parla di paesaggi in fondo. I paesaggi, concreti, della California e di Kabul e il paesaggio della mia vita. Tutte le storie contenute nell’album provengono dalla mia vita, sia dalla mia prospettiva che da quella delle persone che ho incontrato in Afghanistan. “San Francisco” è il brano che ha dato inizio a tutto il viaggio; ero in viaggio con un amico quando ho sentito questo bisogno di intraprendere un viaggio musicale. Ho scritto “The East” dalla prospettiva di un bimbo in un campo militare, reclutato per unirsi ai Telebani; gli stessi che vanno negli accampamenti e che avvicinano le madri vedove per convincere I loro figli. Le madri non posseggono niente, quindi questo si prospetta come l’unica alternativa. I Talebani e le persone che hanno creato I Talebani, approfittano in modo assoluto del popolo Afghano a vari livelli; I bambini subiscono un vero e proprio lavaggio del cervello. Ho scritto la canzone “Be Gone Taliban” da una mia personale prospettiva; ho fatto un sogno dove venivo braccata dai Talebani e dove volavo sopra l’Afghanistan; quindi, si, è un brano scritto dal mio punto di vista ma il mio nome, Ariana, è anche il nome antico dell’Afghanistan, quindi la prospettiva cambia, è anche quella della terra stessa. In questo senso è assolutamente vero, c’è una scultura mutante di tempo, spazio e punti di vista. Mi piace guardare le cose da angolature differenti; penso sia la via che conduce alla pace. E non solo nell’atto di vedere ma anche in quello che ci permette di sentire. Sentire realmente prospettive differenti nei nostri cuori. Invece di isolare un gruppo etnico ed etichettare le persone come “terroristi” abbiamo bisogno di scavare molto a fondo e di capire come possa formarsi questo modo di pensare; solo cosi è possibile comunicare tra di noi. Le persone si macchiano di un crimine casualmente; è qualcosa che nasce dall’incomprensione e dalla rabbia; è necessario capire perchè tutto ciò si è sviluppato nel nostro mondo; dopodichè è necessario lavorare insieme. E’ quello che sto cercando di fare con la ma musica; o almeno è la mia intenzione. Ho molti amici con bimbi bellissimi che vivono nei campi profughi; per loro desidero un futuro splendido, non certo pieno di paura e orrore. Questo ovviamente colpisce qualsiasi paese, non solamente l’Afghanistan; siamo un solo popolo, un solo universo.


Riguardo a “Supend Me”; la sola traccia dell’album interamente prodotta da David Lynch; ci sembra puramente lynchiana per quel mood astratto e fuori dal tempo che delinea, ma allo stesso tempo pensiamo sia totalmente tua, nel modo in cui utilizzi il tuo talento vocale per dipingere l’incontro tra due mondi musicali; Hai scritto il brano a Los Angeles o a Kabul?

Ho scritto “Suspend Me” molti anni fa; non avrebbe dovuto essere nell’album inizialmente. C’erano altre canzoni nella tracklist che avevamo registrato e che avrebbero dovuto essere incluse nell’album. “Suspend Me” è una di quelle canzoni che ho scritto a Los Angeles molto tempo fa. Quando David mi disse che voleva produrre una mia canzone, sapevo bene che quella canzone avrebbe dovuto essere “Suspend Me”. Quando l’ho scritta pensavo ad un elemento trascendente; non avevo ancora cominciato a meditare. Sono convinta che sia la canzone a trovarci e a guidarci. lavorare con David è stato molto bello, perchè l’ha portata verso un nuovo livello; ha lavorato con me sulla struttura della canzone e ha portato un nuovo elemento di sorpresa. Robert, Joachim e Paloma l’hanno suonata con me; in un certo senso questo è un ponte verso le altre canzoni dell’album.

Mi ha molto incuriosito un brano come “we lived on a whim”; di che cosa parla? La struttura del brano mi ricorda un po’ il songwriting di John Cale, soprattutto in quella capacità di disegnare brani pop semplici ed ossessivi; che cosa ne pensi?

Non ne ho idea; è una canzone che viene dalla mia vita e dalle mie esperienze; ho cominciato a comporla al pianoforte, cominciando dalla musica; poi ho aggiunto I testi. Ho composto le note che desideravo sentire e suonare e ho scritto le parole che venivano dal mio animo; non conosco cosi bene la musica di John Cale e non ho mai ascoltato a lungo I Velvet Underground se non di recente; io credo che la musica si muova molto a livello subcosciente e soggettivo, e allo stesso tempo sia connessa al nostro spirito collettivo; nasce dallo stesso luogo.

Chi Ha arrangiato la sezione archi del brano? Sono molto belli!

Sono stati arrangiati da Miguel Arwood Ferguson, come quelli che puoi sentire su “Her Legacy” e “Be Gone Taliban”, Miguel è una delle persone che preferisco tra quelle che conosco; è incredibile come persona e come musicista, mi aspetto sempre grandi cose da lui.


Le canzoni contenute nel tuo primo album sembrano avere tutte quante un loro stile specifico e peculiare anche se il risultato è il realtà molto solido e coerente; che tipo di musica ha influenzato maggiormente il tuo lavoro?

Moltissimi artisti e stili differenti. Da bambina ho ascoltato moltissima musica Afghana; un amico di mio padre arrivava ogni week end con la sua tabla e la suonava con un harmonium cantando le canzoni di Ahmad Zahir. Ma la mia prima vera ossessione è stata Madonna (Ndr. Nella versione CD di “Lion of Panjshir” è inclusa una cover di Crazy For you). Ero assolutamente innamorata di Madonna quando avevo tre anni. La mia sorella più grande invece ascoltava band come Depeche Mode, The Cure e altre band di quel periodo. Ho cominciato a suonare la chitarra quando avevo tredici anni ed avevo già una gran passione per Jimi Hendrix; a quel tempo I miei amici ascoltavano I Nirvana, ma io sapevo che se volevo diventare una buona chitarrista avrei dovuto imparare le canzoni di Hendrix e dei Led Zeppellin. Ho ascoltato moltissima musica degli anni sessanta e ho amato moltissimo Bob Dylan, Neil Young, Janis Joplin; John Lennon rimane comunque il mio preferito. Mi piacciono molto Bjork e I Radiohead e mia madre ha ascoltato per molto tempo Sinatra, Willie Nelson, Roy Orbison, Patsy Cline. Mio padre mi ha certamente influenzato con I suoi dischi di Ravi Shankar; mi piace molto Johnny Cash, Ramblin Jack Elliot, Fleetwood Mac, Odetta, Bessie Smith, Billie Holiday, Eartha Kitt, Nat King Cole, moltissimi artisti. Tra I contemporanei mi piacciono The Arcade Fire, Sparklehorse, Dungen, Cat Power. Molti dei miei amici sono musicisti e mi hanno ovviamente influenzato, cosi come sono stata influenzata dal Cinema.

Lion of Panjshir si conclude con un brano molto bello e doloroso, “we came home”; puoi raccontarci qualcosa di questa canzone?

Ho scritto questa canzone dopo la conclusione delle registrazioni; parla di molte cose. I miei amici e il movimento di cui facciamo parte; la possibilità di portare il cambiamento di cui siamo tutti parte. L’America; il vero spirito dell’America e l’immigrazione. L’ho scritta dal futuro, come se stessi guardando indietro verso questo tempo. Alcuni mesi dopo averla scritta, Obama è diventato presidente e siamo piombati in questo enorme disastro economico. Il significato per me è cambiato; cambia sempre, è la canzone che ci trova.

Ho letto da qualche parte che Emily Stofle Lynch sta realizzando una sorta di documentario sulle registrazioni delle tue canzoni effettuate a Kabul, ci puoi raccontare qualcosa?

Si, ci stiamo lavorando; parla del coinvolgimento della mia famiglia in Afghanistan, della mia vita e del making dell’album.

Ho visto il promo che David Lynch ha girato per promuovere il tuo album; è davvero molto bello e nuovamente, sembra che molti mondi differenti (video arte, pittura, musica) collidano insieme; come hai lavorato con lui per il video?

Lavorare con David è stato bellissimo; mi ha comunicato l’idea e mi ha detto che nella presentazione brano dopo brano si sarebbe calato nei panni di un annunciatore di una vecchia college radio; per questo ho pensato che sarebbe stato bello prelevare alcune suggestioni dal cinema muto. Ashley Furnival, una mia amica, mi ha aiutato a delineare quello stile. Siamo andati in un magazzino di Hollywood pieno di vecchi costumi a cercare I vestiti. E’ stato molto divertente.

Ci puoi parlare dei tuoi progetti futuri?

Scriverò per il mio prossimo album e lavorerò al documentario insieme ad Emily. Recentemente ho registrato una canzone per il tributo dedicato a David Bowie che sarà realizzato su Manimal Vinyl questa primavera (link) Sono anche impegnata nel L.A. Ladies Choir; dovremmo partecipare ad uno show la prossima settimana per I Bambini della notte, un luogo di recupero per giovani ragazze che sono state forzate a prostituirsi. Partecipo anche come attrice e cantante in una piece che ha scritto un mio amico, dove ogni musicista coinvolto suonerà la sua personale musica, molto divertente; e al di là di questo spero di portare “Lion of Panjshir” in tour molto presto; ho con me una serie di musicisti formidabili e mi piacerebbe invitare gli Ustad Afghani per alcuni concerti speciali in giro per il mondo; questo è il mio sogno.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker, un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana e un Critico Cinematografico iscritto a SNCCI. Si occupa da anni di formazione e content management. È un esperto di storia del videoclip e del mondo Podcast, che ha affrontato in varie forme e format. Scrive anche di musica e colonne sonore. Ha pubblicato volumi su cinema e new media.

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