venerdì, Marzo 29, 2024

Matt Elliott – The Broken Man

Matt Elliott ha un nome che fa venire in mente uno dei primi artisti (veramente) indie del ventesimo secolo, tale Elliott Smith, morto suicida dopo una lunga depressione. I due – fortunatamente – hanno poco in comune, eppure il titolo del nuovo album di Matt Elliott, The Broken Man, vogliamo immaginarlo come un celato riferimento a quel mancato omonimo la cui vita aveva improvvisamente smesso di avere un senso. Volendo usare un eufemismo, The Broken Man è quell’uomo che non è riuscito ad avere successo, la cui vita si è rivelata un clamoroso buco nell’acqua, ma anche “l’uomo spezzato”, l’uomo incapace di amare se stesso. A noi non sembra che Matt Elliott ed il suo percorso come artista possano essere rappresentati da tale appellativo, piuttosto crediamo ci sia stata da parte del musicista bristoliano la necessità di raccontare il “fallimento” e tutto ciò che ne consegue, i dolori del “fallito”, da un occhio esterno. La fragilità di fondo nell’impianto strumentale creato dalle dita di Matt Elliott riproduce quella paura di “non riuscire”, di dover indossare a vita il marchio di “broken”, appunto, che qualsiasi uomo – inteso come genere umano – ha avuto modo di sperimentare almeno una volta nella propria vita. I quasi dodici minuti dell’introduttiva Oh How We Fell raccontano l’angoscia di chi vive una quotidianità che sembra ripetersi, lenta, come in uno dei tanti film di Gus Van Sant, a conferma del  fatto che la sua musica va oltre qualsiasi etichetta: potremmo perfino parlare di melodie cinematografiche. Tutto ciò, fino all’ingresso timido ma penetrante della voce di Matt Elliott, viscerale quanto il miglior Tom Waits ma molto più contenuta – seppur agghiacciante – nella sua pena. Più si va avanti con l’ascolto, più ci si rende conto di quanto la mancanza stessa di una forma canzone spinga questo lavoro oltre la definizione di “album”. È un lavoro musicale che ingloba diversi tipi e concetti di arte. Così accade che in quei dodici minuti, scorrano pennellate di celluloide felliniane, sapori andalusi ed una trasposizione in musica di una certa letteratura crepuscolare, resa con violini, accompagnamenti vocali e quasi impercettibili tocchi di campana che tentano di emergere, invano, sommersi dai tocchi di chitarra, per poi però riaffiorare nel finale in un tormento interiore di voci “oltretombali” (cosa che si ripete anche nella successiva Please, Please, Please). La bellezza emotiva di Flesh, Dust and Bones rimette tutto in discussione. Spariscono certi richiami sonori iberici, la struttura quasi-regolare soffoca l’impazienza e la schizofrenica musicale tipica di Matt Elliott, per dar vita ad un pezzo che suona come l’opera migliore: “This is how it feels to be alone/ This is all that we can call our own/ Dust, flesh and bones/ This is how it feels to be alone/ Just like we’ll die alone”, dove la solitudine emozionale corrode l’uomo fisicamente, sino alla morte. Ed il trapasso ritorna anche nella traccia successiva, How To Kill a Rose, che usa distorsioni e tappeti sinistri per disegnare un post-mortem privo di speranza. The Broken Man – è il caso di dirlo – è figlio del rigurgito di un certo pessimismo letterario novecentesco in musica. Ed ecco allora che anche il piano di If Anyone Tells Me “It’s Better to have Loved and Lost than to Never have Loved at all” I will Stab Them in the Face vorrebbe colpire con forza chi si riempie di luoghi comuni davanti alla parola “amore”. Se con This is for, penultima traccia, si rompe un’insofferenza al limite del tragico, la conclusiva ed emblematica (nel nome) The Pain that’s yest to Come riesce ad assopire ogni miraggio di salvezza con quel vortice finale di anime in pena, tra il bucolico e l’infernale, che si innalzano al cospetto della voce e del bell’aspetto di Matt Elliott, il cui fascino ci rende un po’ indifferenti a tutta questa solitudine.

 

 

Sebastiano Piras
Sebastiano Piras
Sebastiano nasce in Germania e sin da piccolo mostra uno sfrenato interesse nei confronti della musica, dal pop soul dei Commodores alla singolarità del Duca Bianco.

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