venerdì, Aprile 19, 2024

Walking the Cow – Monsters Are Easy to Draw (White Birch Records, 2012)

Se è naturale portare a spasso le mucche, lo è altrettanto disegnare mostri, specie se i mostri sono i grandi o, semplicemente, gli esseri umani. Sin dall’affascinante copertina disegnata dal chitarrista e bassista Paolo Moretti, questo quintetto fiorentino, al debutto sulla lunga durata dopo l’EP di ormai un lustro fa a titolo Gengis Kahn vs Sarah Cat (e un velocissimo passaggio di un demo promo di qualche mese fa), manifesta i propri canoni poetici ed estetici improntati ad un lieve surrealismo naif, che coerentemente viene infuso negli undici brani che compongono il disco.

Forti di una rinnovata formazione che vede l’ingresso dell’italo-californiana Michelle Davis alla voce, la band, in totale autogestione artistica e col supporto della neonata label White Birch Records, unisce ad una spiccata connotazione neo-folk spruzzate di elettronica minimale, dimostrando uno stile compatto e decisamente personale. In effetti, il prendere come modello, sin dal nome della band, un eclettico puro e dall’esistenza assai contrastata come Daniel Johnston non può non far riflettere.

Una vicenda come la sua ha davvero più di un punto di contatto con storie personali di membri del gruppo e ciò, crediamo non casualmente, ne ha influenzato fortemente la poetica. Tanto per fare un esempio, Moretti, come Johnston, è apprezzato disegnatore e anche le canzoni della band, in un certo modo, “disegnano” quadri di innocenza infantile squarciati da una sovente dolorosa malinconia, così come la vita dell’artista di Sacramento (guarda caso, la stessa città d’origine della Davis) venne funestata da drammi d’ogni sorta, dalla delusione d’amore che lo portò ad esordire con il capolavoro Songs Of Pain all’abuso di droghe. E i segni di tali sventure possono davvero leggersi sul suo volto eternamente fanciullesco, così come i brani dei Walking the Cow assomigliano realmente a un sorriso solcato da un velo malinconico che nasconde (forse) ferite ben più profonde.

L’andamento rilassato delle tre ballate iniziali si sviluppa nella delicata Summer Dress, in cui una madre aiuta la propria bimba a scegliere il vestitino con cui uscire, una Ducks and Drakes tutta tastiere giocattolo che evoca significativamente il caracollare di paperi e anatre e la lievemente dissonante River P..

A dare un deciso cambio di colore provvedono gli intrecci di corde (molto interessanti, al proposito, gli utilizzi di banjo e bouzouki) di Rorschach Hands (dal prorompente ritornello) e le scale semicromatiche di Movin’ Things, due episodi di dolce rassegnazione e di livello davvero notevole. La voce di Moretti, rauca e acre, interviene solo nella successiva title track, dagli isolati droni e rumori di fondo, punteggiati dal piano elettrico di radioheadiana memoria (ma con risultato assai meno convenzionale).

Convincono meno la simpaticamente blasfema vicenda di un Gesù intento a scegliere film porno, con una sconnessa base elettronica a spezzare gli arpeggi iniziali, e l’ondeggiante melodia di Barry, mentre la batteria di Nightknocking viene sostituita nientemeno che da una macchina da scrivere (!).

Odor di Pavement (ma con un originale piano Rhodes invece della chitarra), infine, si avverte in Grandchildren Are Weird, mentre la chiusura finale di Sweetheart procede per richiami kraut che vanno a disperdersi in riverbero e voci codificate.

Se questo è a tutti gli effetti un esordio, non ci si lasci ingannare, poiché i musicisti militano da anni in altre formazioni (una per tutte, Pentolino’s Orchestra), uno di loro è affermato critico musicale e tutti conoscono a menadito la scena indipendente americana di vent’anni fa e non solo. Tanto basterebbe, poiché di idee musicali ve ne sono a profusione, i suoni sono quelli giusti e assai curati, il mood a metà fra lo stralunato e il malinconico funziona e i brani sono scritti in modo da riuscire ad affrancarsi dalle influenze dichiarate dalla band stessa (assai ricercate, quali Califone, Microphones, Broadcast, Daniel Johnston, Stelvio Cipriani, Os Mutantes, Faust e mille altre).

Senonché a volte resta l’impressione di un gruppo che suona con troppo cervello e con poco cuore, sottraendo alle canzoni una certa dose di istintività e di picchi dinamici (troppo poco sfruttato, ad esempio, è l’incastro fra due voci così agli antipodi).

Disco bello, comunque, forse meno facile di quel che sembra a primo ascolto, ma, a suo modo, anche questa è “musica per bambini”.

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Walking the cow su myspace

Walking the cow, sito ufficiale

Michelle Davis: Vocals
Paolo Moretti
: Electric Bass, Electric Guitar, Bouzuki, Vocals
Simone Bardazzi
: Electric & Acoustic guitars, Electric Mandolin, Ukulele, Bouzuki, Keyboards, vocals
Nico Colacillo: electric Piano, analog Keyboards, Organs, Omnichord, Harmonium, Didgeridoo
Martino Lega: Drums, Loop programming, Piano

Recorded and Mixed at Webb Road Studios (Florence, Italy) between 2010 and 2011 by Walking the Cow
Mastered at No Gravity Studio (Florence, Italy) by Gabriele Caldini

All songs written, arranged and produced by Walking the Cow
the songs from an idea: Simone Bardazzi 1,4,7; Nico Colacillo 2,3,5,6,8,9,10; Paolo Moretti 11
All lyrics written by Michelle Davis except 6,11 by Paolo Moretti

Cover illustration by Paolo Moretti
Graphics by Laura Ottina

Tracklist
Summer Dress | Ducks & Drakes | River P. | Rorschach Hands | Movin’ Things | Monsters Are Easy To Draw | Jesus (Buy Some Porn) | Barry | Nightknocking | Grandchildren Are Weird | Sweetheart [/box]

Francesco D'Elia
Francesco D'Elia
Francesco D'Elia nasce a Firenze nel 1982. Cresce a pane e violino, si lancia negli studi compositivi e scopre che esiste anche altra musica. Difficile separarsene, tant'è che si mette a suonare pure lui.

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