venerdì, Aprile 19, 2024

33ore – L’intervista

 Le influenze sonore sono comunque varie, con spazio per l’armonica blues, per gli organi, per gli archi. Hai cercato di creare un mondo sonoro che spaziasse tra i generi?

Non ho ricercato niente, nel senso che ho aperto le finestre della mia testa; in questo senso la possibilità di realizzare qualcosa da solo è stata veramente fantastica. Con i Caboto c’era questa difficoltà a mettere assieme le cose, perché ognuno voleva portare del suo e non riusciva ad emergere una chiave solista o una personalità precisa, quanto piuttosto una specie di equipaggio senza controllo. Dall’altra parte, con i Franklin Delano, ho suonato più da gregario, senza partecipare attivamente alle composizioni, se non vagamente nell’ultimo disco, “Come Home”, che ho avuto modo di registrare assieme a loro in America. In questo caso invece erano tutte le mie capacità e possibilità che dovevano essere messe in gioco, quindi non mi sono accorto di portare all’interno di ciò che facevo le cose che contemporaneamente ascoltavo, è venuto tutto naturale. La gestazione di queste canzoni è stata particolarmente lunga; ciò ha portato molti cambiamenti, sia complicazioni, sia semplificazioni. Io ho scritto le musiche, le parti, e qualcosa dei nomi che ho detto precedentemente deve essere per forza rimasto, non lo nego. Anche perché siamo fatti di questo, creiamo in base a ciò che abbiamo raccolto, non solo nella musica ma anche nelle parole. Mi rendo conto alle volte di parlare utilizzando frasi che ho appena sentito. Insomma, è una crescita costante, influenzata da più parti.

Per quel che riguarda i tuoi testi, possiamo definirli come intimisti. Come filo conduttore può essere visto il tema della difficoltà nei legami personali e nei rapporti. E’ una giusta interpretazione? E ci sono spunti autobiografici nei tuoi testi?

E’ assolutamente un’interpretazione giusta. Il carattere fondativo di queste canzoni è un ginepraio di esperienze, per la maggior parte negative. Questo forse perché la poetica si è soffermata in quegli angoli bui delle giornate. Ho aspettato prima di far uscire queste canzoni, le ho fatte per così dire depositare all’esterno, evitando il legame univoco con l’autobiografia. Ho cercato quindi di impossessarmi anche di altre storie, di condire le mie, in modo profondo e non superficiale, con altre situazioni attinenti o simili. Forse avevo un po’ paura di rivelarmi così tanto, con le mie sfighe, anche se poi sono cose che capitano a tutti. Mi piace scrivere così, molte cose continuo a sentirle con un certo peso, che io voglio chiamare poetico, ma non la vedo come l’unica soluzione. Intendo percorrere anche altre strade, non tanto quelle di usare testi o argomenti leggeri, quanto quelle di sviluppare un punto di vista diverso, meno struggente.

Parlavamo dell’uso degli archi, che nei tuoi brani sono stati affidati a Nicola Manzan, titolare del progetto Bologna Violenta e collaboratore di molti altri artisti, tra cui anche i Baustelle. Come è nata la collaborazione con lui?

E’ nata nell’ambito di alcuni concerti fatti con i Franklin Delano, suonavamo assieme nell’ultimo periodo di quella band e siamo diventati grandi amici. Poi abbiamo continuato a collaborare anche tramite i 4fioriperzoe, di cui lui è membro fondatore. Di conseguenza è stato molto facile, anche se Nicola è una persona molto impegnata. Ci siamo messi d’accordo e appena possibile è riuscito a registrare degli importantissimi contributi per questo disco.

 

Taranto, Livorno, Bologna sono le 3 città in cui hai vissuto. C’è qualcosa di queste città nella tua musica?

Se non scatti o Polaroid destinate poi ad essere perse, devo dire di no. C’è solo la mia posizione in un luogo che non è descritto in generale, ma solo per piccoli particolari, piccole superfici. Cosa c’è di questi luoghi nel riflesso della mia persona è un senso di non appartenenza, perché ho dovuto seguire la mia famiglia spostandomi da Taranto a Livorno. Ho sempre fatto fatica a reinserirmi e ad elaborare un concetto di “casa” e di appartenenza, cosa che mi è rimasta addosso anche adesso che vivo a Bologna da ormai 15 anni. Non la sento mia, pur conoscendola e avendola vissuta sia nel suo periodo di forza, sia in questo di declino.

 

Hai già in mente l’evoluzione della tua vita musicale? Nuovi progetti?

33ore va avanti, ho già molte canzoni in lavorazione, di cui sto sistemando i provini. Si sta parlando di una possibile uscita di un EP a novembre e comunque l’anno prossimo vedrà la luce un nuovo disco. Poi altre collaborazioni ce ne sono, per esempio ultimamente ho riallacciato i rapporti musicali, perché quelli personali non si sono mai ammaccati, proprio con gli ex Franklin Delano. Quindi adesso ci sono i Blake/e/e/e con cui ho fatto diversi concerti e farò ancora qualche data durante l’estate.

33ore su myspace

 

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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