La polvere del tuono
Se nei Black Mountain si poteva sentire un po’ di scazzo, in odor di quel misticismo derivato dalle letture di Crowley e Poe, mai prese troppo sul serio, nel nuovo Lightning Dust, edito da Jagjaguwar, si preferisce accantonare quell’immaginario e procedere per sottrazione, sia di bpm che di strumentazione. Listened On è già una spina nel cuore che la stessa Webber si toglie con la sofferenza di una Patti Smith, Take Me Back rallenta il tiro sui giri a vuoto dell’organo e risulta quasi frusta dalla noia, a parte la mini coda strumentale. Quando anche Wells si affaccia al microfono nascono forme carillon come Jump In, vaudeville caustico in stile The Dresden Dolls. Si ascoltano suoni più moderni, non necessariamente precedenti il 1973, il disco suona nuovo, emergono le passioni dei due, passioni che trasudano influenze, vita e ascolti di due anime contemporanee, non certo nel ’69. La montagna nera emerge per la compattezza e la maestosità del progetto, i Lightning Dust dovrebbero riuscire a narrare il presente. Così non è, almeno in questo esordio.
Lighting Dust suona schizofrenico, in preda alla noia devastante o a episodi stupidi come Wind Me Up, francamente inutile se non per la colonna sonora di uno dei film più “pop” con Zooey Deshanel. La frizione più stridente è tra un approccio sin troppo serioso ed episodi in forma divertissement, messi li per spezzare il risultato in un modo del tutto forzato. Lento, poco scorrevole, difficile da digerire senza saltare qualche episodio. Andrà meglio due anni dopo, ma già da ora si consolidano i tratti essenziali del duo. L’alternanza tra voce maschile e femminile, la sperimentazione di vari strumenti all’interno di un mood consolidato (generalmente depresso, talvolta sofferente), comunque tutto più originale anche per i tempi in cui nasce il progetto. L’elasticità si vedrà nei due episodi successivi, un lato acustico e rock-soul (Infinite Light) e un lato sintetico, affidato alle tastiere (l’imminente Fantasy). (Continua nella pagina successiva…)