sabato, Aprile 20, 2024

Lincompreso – Voglio essere come te (Imago Sound, 2011)

Se la tradizione cantautorale del belpaese, ivi compresi tutti quei cantori dell’amore così tenacemente sospesi tra l’ideale “loser” e l’ironica pantomima della quotidianità, fosse un preparato alchemico capace di tirarci fuori dalla recessione incombente, si potrebbe confidare tutti nell’esito positivo del suo utilizzo, senza il necessario bisogno di immolarsi in sacrifici duri e sanguinolenti.

Voglio essere come te, pubblicato a ragione sociale Lincompreso e licenziato dall’agguerritissima Imago Sound, tratta appunto l’amore con la stessa istrionica fattezza di chi dice per non dire o tace dicendo, con disillusa e caustica lucidità, giusto in un momento in cui il proliferare della specie potrebbe offuscarne la capacità di discernimento, proprio in termini di qualità. Indi per cui, aldilà dell’imprescindibile ed atavica relazione che, geograficamente (oltre che anagraficamente), mi lega all’artista siciliano, non faccio segreto di sentirmi romanticamente predisposto all’ascolto di questo disco, ben fatto ed una spanna sopra la media, vuoi perché ancora intravedo nelle lallazioni fonosimboliche dell’iniziale Leconomia di un’esistenza quel distillato simpatetico della sua ironia mordace, vuoi anche e soprattutto perché mi è molto facile cedere al fascino della metamorfosi di un veterano ed accanito satiro nichilista divenuto oggi immediato testimone della metrica pop. E così, se empaticamente mi permetto di decifrarne la sua reale essenza oltre il vacuo contenitore delle similitudini, noto che Attento al collo e Planate paranoiche hanno insieme quella leggerezza non leggerezza di Branduardi, mentre Pagherai e Non è per sempre lambiscono, più o meno convinte, i ’90 di Bluvertigo e C.S.I. ma anche di The Stone Roses e Pixies, fermo restando che non consideri folle e men che meno insensata, una vaga associazione ad un certo tipo di cantautorato, Ciampi, Battisti, De Andrè, in testa. Nulla che lasci tuttavia dedurne inutile apologia, perfino quando, con il gusto estatico e trasognante di Vuoi toglierti questo dente, il Nostro sembri proprio emulare il cantautore fidentino. Meno, molto meno, dinoccolato Calabrò di Peveri, ancorché armato di un background più combattivo e risoluto, ben capace di trasformare quelle che all’apparenza potrebbero sembrare solo (cit.) canzonette  (“…anche se poi le cantano un po’ tutti…”), in gustosissimi amarcord al sapore, ora Smithiano (Sogno il colore che si scrosta, Sono un felice normodotato), ancora in frugali ritmi bossanova, surrogati qua e la da preziose aperture dreamy tipo Ruarri Joseph e da un uso stemperato di tonalità sovrapposte à la maniera degli Ugly Casanova (Che canzone del caso, Voglio essere come te, Chi fuma perde l’accendino). Insomma, davvero efficace, brillante e tonico; ”tutta robba bbona” che, se non riuscirà proprio a scaldarvi il cuore, di certo vi solleticherà anima, spirito ed intelletto. Garantito!

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Francesco Cipriano
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Francesco Cipriano classe 1975, suona da molto tempo e scrive di musica.

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